Una Pmi su quattro non crede nelle capacità di innovazione

IMG_0133Una Pmi su quattro non è totalmente consapevole della propria capacità di innovazione, da far emergere per favorire la crescita sui mercati internazionali. E’ quanto emerso dal rapporto Le tendenze innovative della piccola e media imprenditoria italiana, presentato a Focus Pmi 2014, quarta edizione dell’Osservatorio annuale sulle piccole e medie imprese italiane, promosso dallo studio legale e tributario LS Lexjus Sinacta. L’indagine, condotta dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne su un campione di 1.150 aziende e riferita al periodo gennaio-dicembre 2013, si è posta l’obiettivo di verificare la propensione delle Pmi a ricercare in modo stabile strategie e processi innovativi, mettendo in risalto alcune tendenze di rilievo. Contrariamente a quanto emerge dalle rilevazioni a livello europeo, che spesso non tengono conto delle specificità del sistema Paese, l’Italia presenta una capacità di innovazione di tutto rilevo, che deriva in larga misura dal contributo delle Pmi e dalla loro propensione a innovare in maniera trasversale e integrata. A differenza di altre economie europee, dove il contributo delle grandi aziende è preponderante, in Italia si osserva un sostanziale equilibrio tra le risorse investite in innovazione dalle Pmi (49%) e dalle grandi aziende (51%). Sul totale della spesa per innovazione delle imprese italiane, superiore a 15,9 miliardi di euro, ben 7,8 miliardi di euro sono a carico delle Pmi. Un dato rilevate, soprattutto se paragonato con quello della Germania, dove le Pmi hanno investito in innovazione 9,3 miliardi di euro su un totale di 70 miliardi di euro.

Anche in termini di quota di imprese innovative, il sistema produttivo nazionale si posiziona avanti rispetto alla media dell’Unione Europea: innova il 56,3% delle imprese italiane, incidenza superiore a quella dell’UE-27, pari al 52,9%. In linea con quanto rilevato dall’indagine, questi dati indicano come l’innovazione nel nostro Paese venga perseguita dalle imprese non solo e non tanto attraverso gli investimenti nella ricerca e sviluppo ma anche e soprattutto nella possibilità di acquisire know how e apparecchiature innovative, nella creatività e capacità inventiva delle piccole e medie imprese del territorio. Un’innovazione trasversale e integrata, che non si limita ai beni e servizi prodotti e commercializzati, ma abbraccia un ambito ben più ampio che va dai prodotti ai processi, dall’organizzazione interna alle relazioni esterne, dalle attività realizzate alle politiche di sviluppo.

Le Pmi che svolgono un ruolo trainante nell’innovazione, secondo quanto rilevato dall’indagine promossa da LS Lexjus Sinacta, realtà italiana e indipendente di oltre 180 avvocati e dottori commercialisti che operano presso le nove sedi di Bari, Bologna, Brescia, Firenze, Lecco, Milano, Padova, Roma , Torino e Casablanca (Marocco), sono quelle di dimensioni maggiori e, per quanto riguarda il settore di attività, quelle a vocazione manifatturiera. In particolare, nel triennio 2010-13 hanno più frequentemente introdotto innovazioni le aziende della meccanica, dell’elettronica e dell’automotive (57% dei casi), seguite – a sorpresa – dall’alimentare (56,7%).

Chi innova cresce di più. E costruisce network

L’analisi ha individuato 3 principali categorie di Pmi, ad alta (16% circa), media (52% circa) e bassa innovazione (31% del campione). Pur in un contesto di contrazione economica, le Pmi più innovative hanno registrato una crescita maggiore rispetto alle altre, con incrementi del fatturato nel triennio 2010-13 per ben il 29% di queste; quota che si riduce al 15% per le aziende a media innovazione e al 5% per quelle a bassa innovazione. Lo stesso trend si osserva prendendo in considerazione il parametro dell’occupazione. Inoltre, le aziende a maggior tasso di innovazione tendono in maggior misura ad operare in sinergia con altre aziende facendo parte di reti di imprese, un fenomeno che evidenzia come l’innovazione sia un concetto ampio che non comprende solo la tecnologia nei prodotti o nei processi produttivi ma che si estende all’intera organizzazione aziendale. Nel complesso le imprese che fanno parte di reti rappresentano il 15,3% tra quelle ad elevato contenuto innovativo, contro il 7,4% e il 6,2% tra quelle, rispettivamente, a media e bassa innovazione.

Le Pmi più innovative sono anche quelle che riportano progressi maggiori su fattori strategici per la competitività dell’azienda, quali l’aumento della capacità produttiva e un migliore utilizzo delle risorse umane. Al contrario, a minori livelli di innovazione, le imprese puntano in maggior misura su fattori di più “basso profilo”, quali il contenimento dei costi, l’adeguamento agli standard qualitativi internazionali e le possibilità di accesso ai mercati. In particolare, l’investimento in capitale umano, elemento strategico su cui puntare per i processi di innovazione, non è sufficientemente considerato tale in Italia: l’80% circa di imprese assume al massimo il 9% di personale high-skills sul totale delle assunzioni, rispetto a casi come la Germania, dove il 67% delle imprese assume meno del 10% di personale skillato, e la Spagna, con il 46% di casi.

Un potenziale di innovazione da far emergere

Tra le Pmi che si auto-percepiscono come altamente innovative, quelle che hanno effettivamente introdotto innovazioni sono il 79,8%; il 60,7% tra quelle posizionate a metà e il 14,3% tra quelle che, invece, si dichiarano poco innovative. Nonostante il livello di innovazione di un’azienda sia determinato da numerosi fattori, circa una su cinque tra quelle che si definisce molto innovativa di fatto nel triennio 2011-2013 non ha introdotto innovazioni, un aspetto che fa presupporre una perdita di competitività e di capacità innovativa. Al tempo stesso, tra le aziende che si sono definite “con bassa propensione ad innovare”, si rileva un sottogruppo pari al 25% del totale che appare propenso, pur non essendone pienamente consapevole, ad operare nella direzione dell’innovazione, destinando risorse umane e finanziarie, realizzando specifiche attività, effettuando investimenti per la crescita dell’azienda e ricercando collaborazioni con altre imprese per creare quelle sinergie necessarie alla crescita competitiva. In particolare, una Pmi su sette tra quelle che si definiscono meno innovative ha di fatto introdotto all’interno della propria azienda innovazioni significative, un fattore molto importante che potrebbe consentire di spostarsi verso aree di mercato in grado di offrire maggiori opportunità.

L’indagine ha così rilevato la presenza di numerose aziende propense ad operare nella direzione dell’innovazione, ma non pienamente consapevoli del proprio potenziale, che necessitano di un supporto affinché l’innovazione si integri in tutti i processi aziendali. E’ quindi possibile favorire la crescita e la competitività del sistema facendo emergere il potenziale di innovazione ancora “sottotraccia” nelle Pmi, attraverso meno tasse, export e soprattutto open innovation: puntando cioè non soltanto sulla ricerca e sviluppo tradizionale, ma anche sull’attirare talenti dall’esterno, in un processo creativo di co-generazione delle idee. “La quarta edizione di focus pmi offre un contributo importante per comprendere meglio i fattori determinanti per la crescita e la competitività delle aziende italiane piccole e medie sui mercati internazionali”, dice Franco Casarano, partner dello studio legale e tributario LS Lexjus Sinacta. “L’innovazione è la chiave di volta da questo punto di vista e il dibattito di oggi conferma che le Pmi, con la loro capacità di dare vita a processi innovativi trasversali e articolati, possono dare un contributo decisivo nel colmare il deficit che il nostro Paese ha accumulato nel recente passato. A patto che si offra loro sostegno nei percorsi di sviluppo tecnologico, nell’accesso al credito, nella fiscalità.”

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