Intervista a Emilio Bianchi, direttore del Senaf
in occasione del Salone della Proprietà Industriale

01Organizzato da Senaf  lunedì 30 settembre a Parma si svolgerà la seconda edizione del Salone della Proprietà Industriale,  –www.senaf.it/proprietaindustriale – dopo i buoni risultati raggiunti lo scorso anno e la costante richiesta di informazioni sulla tematica da parte delle aziende, a cominciare da quelle del comparto agroalimentare.Emilio_Bianchi_Direttore-di-Senaf-638x425Un’esigenza che si spiega alla luce del valore sempre più decisivo che marchi e brevetti rappresentano per le imprese che vogliano competere con successo sul mercato, interno e internazionale. Secondo i dati dell’UIBM – l’Ufficio italiano brevetti e marchi che fa capo al Ministero dello Sviluppo Economico – lo scorso anno si sono state depositate oltre 67 mila domande di marchi, modelli e brevetti. Tra queste, le domande di brevetto depositate per la categoria “invenzione” sono state complessivamente 9.217, quelle per i marchi 53.694, 1.351 di disegni e modelli e 2.743 quelle dei modelli di utilità. Imprenditori e aziende – soprattutto le medio piccole, hanno la necessità di tutelare la proprietà e il know how industriale, ma una scarsa preparazione sulle modalità con cui procedere. Un gap da colmare in tempi brevi per restituire al made in Italy il carattere di genialità che in passato ha permesso alle nostre produzioni di imporsi come standard di eccellenza qualitativa nel mondo.

Su questi argomenti abbiamo intervistato Emilio Bianchi, direttore di Senaf  (nella foto grande).

· Ci sono aziende medio piccole italiane impegnate in settori  come moda, agroalimentare e design, più vulnerabili per la tutela dei diritti di proprietà e la possibile contraffazione. Come possono difendersi?

“Nell’era della globalizzazione e dell’apertura dei mercati, la salvaguardia dei diritti di proprietà rappresenta “un’urgenza quotidiana”. E questo è ancor più vero per le pmi italiane, tradizionalmente votate a produzioni di alta qualità e ad alto contenuto innovativo. Per questa ragione il tema della salvaguardia dai “danni da contraffazione” deve progressivamente diventare un focus di grande attenzione per le aziende. Una corretta informazione è indispensabile per sfruttare a pieno la tutela garantita dagli strumenti normativi nazionali e internazionali; in questo senso investire nella consulenza di professionisti dei diritti e tutela della Proprietà Industriale e Intellettuale sarà sempre più importante”.

· Cosa chiedete a Confindustria e Governo per essere più tutelati?

“A mio parere l’intervento delle istituzioni dovrebbe agire su due piani distinti e concentrarsi non solo sugli strumenti normativi ma anche sulla leva culturale. Ovviamente promuovere la formazione e introdurre agevolazioni tecniche ed economiche che possano aiutare le aziende a monetizzare i propri beni e la propria genialità rappresenta il primo passo da compiere, ma per vincere la guerra alla contraffazione è necessario agire anche sul fronte dei consumatori/utenti che, con il proprio comportamento di acquisto, di fatto, decretano il successo commerciale di un bene/servizio. L’UE, per esempio, in primavera ha lanciato la campagna “Troppo bello per essere vero?” per sensibilizzare i consumatori sui pericoli dei prodotti contraffatti e promuovere una più stretta cooperazione tra la Commissione europea, autorità nazionali, consumatori, produttori e associazioni di categoria”.

· Quali sono le azioni più efficaci che organi internazionali possono intraprendere per la tutela dei diritti di proprietà?

“Uno degli aspetti più urgenti riguarda la gestione della “globalizzazione” : bisogna evitare la creazione di situazioni di vantaggio di un Paese a scapito di altri, a partire – banalmente – dalle differenze linguistiche e metriche, che dovrebbero essere tutelate, a beneficio di una semplificazione del sistema e una di rappresentazione più limpida di un istituto a tutela delle aziende”.

· I Paesi con regimi di tutela dei diritti di proprietà rigidi e ben regolamentati hanno performance economiche, crescita e livelli di competitività più elevati. Quali sono i Paesi più all’avanguardia in questo senso?

“Un sistema ben definito di diritti di proprietà, un apparato di regolamentazione dei mercati che garantisce la concorrenza, politiche pubbliche che supportano la coesione e riducono il rischio di conflitti sociali sono tutte “conditio sine qua non” per lo sviluppo economico di un Paese. Una necessità che trova diretta corrispondenza nei tre indicatori utilizzati dall’International Property Rights Index : il primo, politico e giuridico, misura stabilità politica dei Paesi – corruzione, indipendenza della magistratura, stato di diritto -, il secondo riguarda regolamentazione dei diritti di proprietà fisica e il terzo indicatore è riferito alla proprietà intellettuale. Ecco perché al vertice dell’International Property Rights Index troviamo paesi come la Finlandia, prima con 8.6 e la Svezia, seconda con 8.4, seguite da Gran Bretagna al dodicesimo posto con 7.8, Germania al quattordicesimo con 7.7, Stati Uniti al diciassettesimo con 7.6. Rispetto a tutti e tre indicatori utilizzati per il ranking l’Italia ha invece ottenuto risultati deludenti – rispettivamente 5.6 (Germania 8), 6.1 (la Germania 7.1) e 6.6 (Germania 8.1)- aggiudicandosi il quarantasettesimo posto della classifica, con un punteggio di 6.1,e gap importanti – in termini anche di sviluppo tecnologico e di cultura d’impresa – nei confronti degli altri paesi del G7 in classifica”.

Più che a corsi di informazione e formazione – a cui le imprese sono comunque interessate – sembra che la richiesta principale da parte delle Pmi sia quella di fare squadra e fare pesare a livello internazionale l’adesione a una regolamentazione più rigida. Una carenza nazionale cronica…

“Perché le reti d’impresa possano funzionare come soggetti autorevoli nel dibattito –nazionale e internazionale- sulla tutela dei diritti di proprietà è necessario presupporre un’elevata consapevolezza e una buona conoscenza della materia tra gli imprenditori che ne fanno parte. Aderire a una rete d’impresa senza avere inserito nel proprio DNA aziendale i valori della proprietà industriale e intellettuale non è una scelta di per sé efficace. Credo invece che proprio grazie ai corsi di formazione e informazione si sia sviluppata una maggiore coscienza della problematica tra gli imprenditori, creando le premesse per la costituzione di “Reti di Imprese Consapevoli”, in grado di catalizzare l’attenzione tanto dei media (e dell’opinione pubblica) quanto delle istituzioni sul tema della tutela del made in Italy – e più in generale sulla problematica della contraffazione – e promuovere soluzioni efficaci. Non credo infatti che occorrano regolamentazioni più rigide per “imbrigliare i mercati”, ma maggior convinzione nelle azioni a tutela dei diritti, che si ottiene solo con la piena conoscenza della materia.

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