Crescono dazi e sanzioni e le PMI fanno sempre più fatica

Potevamo intitolare questo articolo “il ritorno al proibizionismo” commerciale per sintetizzare quanto emerso nel Forum del commercio internazionale organizzato da ARcom Formazione. Durante l’incontro è stata presentata una indagine da cui emerge come dopo i due anni di Covid dazi e sanzioni nel mondo siano cresciuti del 700%. Solo in Europa proliferano regolamenti doganali diventati ormai più di 350. In sintesi le imprese italiane non sanno affrontare queste complessità. E non hanno esperti di commercio internazionale per affrontare il bouquet di regole vecchie e nuove. Questo accade come sempre anche per la carenza di formazione di eserti nel commercio internazionale.

E’ ormai evidente ai più che la deglobalizzazione del commercio è iniziata con la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia ha dato un’accelerazione significativa. Le misure protezionistiche in vigore nel mondo sono salite a circa 3.000, tra dazi, sanzioni e quote di esportazione con un incremento del 714% dal 2008 al 2022. Al Forum hanno partecpato aziende e rappresentanti delle istituzioni nazionali ed europee. I 350 differenti obblighi normativi da rispettare in fase di import e di export rappresentano un fattore di notevole complessità per tutti gli operatori.

Sara Armella, direttore scientifico di ARcom Formazione

“Queste difficoltà dovrebbero essere vissute come un’autentica urgenza dalle imprese italiane ma solo 1 impresa su 2 prevede procedure interne di prevenzione dei rischi doganali. E soprattutto di aggiornamento circa divieti, limitazioni, contingenti previsti per l’import e per l’export”.

Il Forum ha “certificato” il tramonto del sistema multilaterale fondato sui principi liberisti dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) che si era consolidato negli anni ‘90. Durante l’emergenza pandemica le catene di approvvigionamento si sono interrotte. Molti Paesi hanno avviato politiche di riduzione della dipendenza strategica dall’estero, con effetti significativi su investimenti e scambi mondiali. Una tendenza che si è rafforzata anche a causa del disaccoppiamento tra l’economia statunitense e quella cinese. Fino al conflitto russo-ucraino e a quello recente in Medio Oriente.

E’ il tramonto del sistema multilaterale fondato sui principi liberisti del WTO?

“L’Italia – continua l’avvocato Armella – è il sesto Paese al mondo per volumi di esportazioni e ottavo nella classifica mondiale dei Paesi importatori. Un’impresa italiana che vende in tutto il mondo deve essere a conoscenza delle barriere come delle opportunità presenti alle dogane di destinazione. Altrimenti si corre il rischio che i suoi prodotti vengano respinti o restino bloccati in porti e hangar fino magari a deteriorarsi. Va benissimo parlare di Made in Italy e di export ma tutti i ragionamenti devono essere agganciati alla realtà concreta di queste merci che transitano da un Continente all’altro. In Italia operano 120.319 imprese esportatrici e 99.995 imprese importatrici. Mancano le figure professionali capaci di districarsi tra divieti di importazione, dazi doganali, accordi di libero scambio e altre questioni doganali che possano migliorare l’export italiano. Un settore che nel 2022 ha superato i 625 miliardi di euro. Soltanto l’11% delle aziende ha un responsabile delle questioni doganali aziendali, mentre il 9% sta formando questa figura”.

Più di 350 provvedimenti doganali operativi

Attualmente sono in vigore circa 350 provvedimenti in materia, di cui 177 misure definitive di difesa commerciale, 117 antidumping definitive, 21 antisovvenzioni e una misura di salvaguardia. Quattordici misure in più rispetto al 2021. In un anno l’Unione europea ha sottoposto a controllo 38.500 domande di esportazione per beni dual use (per uso civile e militare). Il valore è di 45,5 miliardi di euro. Le operazioni di export vietate sono state ben 560 per un valore totale di 7 miliardi di euro. Sono in costante aumento anche i divieti. Dall’invasione russa dell’Ucraina, l’UE ha adottato undici diversi pacchetti di sanzioni che vietano l’importazione e l’esportazione di numerosi prodotti.

L’UE ha da poco approvato una serie di divieti e nuovi dazi, come il CBAM, la plastic tax, le norme sulla deforestazione. Regolamenti di cui però 2 imprese italiane su 10 non sono a conoscenza, come emerge dalla ricerca condotta da ARcom Formazione con AstraRicerche.

Solo il 24% delle aziende prevede una formazione con cadenza annuale

“Le radicali trasformazioni in atto nello scenario del commercio mondiale impattano molto sulle aziende italiane che operano oltre confine. Se l’Italia esporta di più e meglio l’economia si rafforza e ne beneficiamo tutti. Perciò è imprescindibile a questo punto un cambio di passo puntando sulla formazione. Invece la maggioranza delle imprese (50,6%) non segue programmi adeguati di aggiornamento sul commercio con l’estero. In un mondo frammentato il reshoring (rientro delle produzioni in Italia), le politiche fiscali e tariffarie e le zone di libero commercio sono fattori decisivi per l’evoluzione degli scambi. Occorre identificare i nuovi costi e modificare, di conseguenza, la propria strategia nella catena dei fornitori. Bisogna che le PMI tengano conto le valutazioni di natura geo-politica e non più puramente di natura economica”.

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