Il paradigma vincente delle Pmi italiane

Nell’ambito della presentazione del neonato CIS Consorzio Italiano Scatolifici, (vedi anche https://www.btboresette.com/wp-admin/post.php?post=5400&action=edit ) il sociologo e ricercatore Enrico Finzi ha introdotto la giornata con un intervento sul modello italiano delle Piccole e medie imprese che riportiamo integralmente.Si può parlare di fascino (e non solo di successo) delle piccole imprese? Si deve farlo, per un motivo molto semplice: il modello italiano della specializzazione flessibile delle Pmi è destinato, grazie anche alla sua evoluzione, a divenire sempre più un paradigma vincente nel contesto ‘globalizzato’.

Questo per 10 ragioni-chiave:

1. Le piccole industrie sono flessibili – La prima motivazione ha a che fare con la flessibilità sia della singola piccola industria (termine che vale ormai anche per il settore terziario) sia, specialmente, del sistema delle Pmi collegate in rete. Tale flessibilità è un mix di leggerezza (legata alla modesta dimensione), di estrema mobilità adattativa (ora in misura crescente anche territoriale), di eccezionale velocità di reazione, di presa diretta col mercato e con i singoli clienti, di efficacia nella risposta agli stimoli del mercato e del contesto garantita dall’efficienza del network – formale e più spesso informale – di cui la piccola impresa è parte consapevole.

2. Le piccole industrie lavorano in rete – Ciò rinvia, appunto, alla rete delle Pmi, che ha permesso il superamento di molti dei loro limiti dimensionali e culturali ‘storici’, grazie all’integrazione non rigida della piccola industria ‘ameboide’ in un sistema aperto (fatto di legami azionari e/o basati su esplicite joint ventures e/o solo funzionali e magari ad hoc) che può essere assimilato alla rete neuronale del cervello umano che attiva – tramite le sinapsi – un’immensa pluralità di collegamenti tra i neuroni secondo configurazioni complesse, non fisse e ripetitive, rapidissime, capaci per apprendimento ed auto-correzione ‘in corsa’. Ed è anzitutto qui che il sistema italiano delle Pmi si configura come paradigma nel mondo e non solo per le imprese di modeste dimensioni, visto che tutti i grandi gruppi tentano di superare i loro limiti di elefantiasi, burocratismo, lentezza, demotivazione degli addetti, basso respiro strategico, ecc. trasformandosi essi stessi in networks di unità produttive e/o di gruppi di lavoro autonomi, agili, responsabilizzati, collegati in rete, ecc..

3. Le piccole industrie lavorano in organizzazioni orizzontali – La terza motivazione-chiave del fascino delle Pmi si connette alla ‘piattezza’ dell’impresa (di per sé flat) e dal network (a sviluppo tipicamente orizzontale): con tutti i plus ben noti delle strutture organizzative ‘corte’, dei meccanismi operativi (norme, procedure e sistemi) semplici ed essi stessi leggeri (con pochi controlli ma ficcanti), della velocità di relazione (basata anche sull’integrazione feconda tra tecnologie informatiche e rapporti interpersonali ‘caldi’, specie qualora si diffonda la cultura della delega, tradizionalmente assente nelle ‘vecchie’ piccole industrie italiane).

4. Le piccole industrie hanno agilità relazionale – La quarta ragione risiede nell’agilità relazionale: quella interna alla singola mini-organizzazione produttiva (garantita dalle basse dimensioni, dalla catena ‘corta’ e spesso dalla comune appartenenza a una comunità locale e/o professionale: specie nei distretti); quella – in crescita esponenziale – nella rete (capace d’attivarsi immediatamente on demand, pure creando nuovi, inediti legami ad hoc); e quella – sperimentatissima ma tuttora cruciale – con la clientela (nell’ambito d’una client orientation senza pari che sta passando dalla dominanza della domanda all’integrazione tra offerta e domanda tramite la partnership fornitore-cliente, la progettazione integrata dei prodotti e dei servizi, la personalizzazione, la velocità del ping-pong…).

5. Le piccole industrie sono portatrici della cultura dell’appartenenza – Tutto ciò è possibile in quanto l’impresa di non grandi dimensioni e, crescentemente, la rete (o la parte più stabile di essa) sia portatrice, espressione e matrice di una forte cultura basata sul senso d’appartenenza: un’appartenenza non necessariamente ‘eterna’, ma intensa, fondata sulla condivisione di valori sociali, spesso su pezzi importanti di cultura professionale (di mestiere), sempre sull’orgoglio – degli addetti e non solo dell’imprenditore – del ben fatto e del ben fornito al cliente, della qualità totale del prodotto e del servizio, a volte della creatività diffusa.

6. Le piccole industrie creano valore nella società – Tale identificazione col lavoro comune, più ancora che con l’impresa come istituzione, si raccorda alla soddisfazione rassicurante per la capacità della piccola industria specifica, ma anche della rete (ed eventualmente del distretto) di creare valore, sviluppo, ricchezza, occupazione e gratificazione degli addetti. È, questa, la sesta motivazione-chiave del fascino attuale e prospettico delle Pmi, quando esse si mostrano capaci di essere non solo organizzazioni produttive, ma pure imprese sostenute dal consenso interno ed esterno (cioè sociale) per la loro capacità di produrre, attraverso lo sviluppo, un insieme di opportunità quanti-qualitative, ossia di produrre valore e senso, in un mondo in cui la domanda di senso (di significati dell’esistenza, di direzione e progetti, di convinzioni e rassicurazioni, ecc.) diviene sempre più potente.

7. Le piccole industrie producono innovazione – Al settimo posto in quest’elenco troviamo, almeno per le imprese e i networks esposti alla concorrenza internazionale, la capacità di produrre innovazione: quella frequentemente ‘messa a coltura’ dalle grandi organizzazioni produttive, ma emersa proprio nelle strutture delle piccole o minime dimensioni, solo in parte in grado d’investire in R&D, ma abilissime nel progettare e realizzare soluzioni concrete e problem solvers in strettissimo rapporto col mercato, nell’applicare in settori nuovi innovazioni nate altrove, nel valorizzare l’inventività germinale d’ogni addetto o gruppo di lavoro, di governare il cambiamento ‘dalla parte dell’erba’.

8. Le piccole industrie garantiscono una maggiore customer satisfaction – D’altra parte, diverse ricerche in Italia e all’estero mostrano come le Pmi in rete sono in grado di avere una customer satisfaction maggiore della media: questo per il mix fecondo di esperienza specifica, di specializzazione e spesso di dedizione vocazionale, di ossessione della qualità del prodotto, di gusto dell’originalità distintiva e dell’innovazione problem solver, di servizio e di avanzata cultura del servizio (sul doppio versante razionale ed affettivo-relazionale), di rapidità ed appunto di flessibilità, frequentemente di ottimo rapporto qualità/prezzo. Certo, dagli stessi studi emergono riserve diffuse circa la forza finanziaria delle Pmi, la rilevanza degli investimenti in ricerca e sviluppo, la capacità (quantitativa e qualitativa) di comunicare al mercato e di costruire marche note, a volte il rispetto delle norme (specie sui terreni dell’ambiente, della sicurezza, del rispetto delle leggi sul lavoro). Il modello delle Pmi emerge comunque come vincente, specie se si rafforza e si estende il passaggio dalla fase ‘vecchia’ della piccola industria isolata alla nuova fase della rete, della fitta trama territoriale e/o intersettoriale.

9. Le piccole industrie sono un modello di sviluppo imitabile – La nona motivazione-chiave del fascino persistente delle Pmi ha a che fare con l’interesse che il loro ‘sistema’ ha per i Paesi in via di sviluppo, certo non riscattabili anzitutto tramite le grandi imprese: il che spiega l’attenzione crescente che gli economisti e i sociologi hanno verso tale paradigma, tanto più utile quanto si voglia rafforzare uno sviluppo autonomo e si intenda, contemporaneamente, garantire l’integrazione dinamica delle comunità locali.

10. Le piccole industrie sviluppano il senso dell’orgoglio -Infine, la decima ragione cruciale che vale la pena di segnalare è quella che ha a che fare con la motivazione motivante, con la straordinarietà dell’orgoglio (dell’imprenditore e dell’impresa, ossia degli addetti, così come del network formale e informale) che si trasmette al mercato e a volte alla società tutta, malgrado i suddetti limiti sul terreno della comunicazione esterna. Un orgoglio che, se ben utilizzato, determina soddisfazione di chi fa piccola impresa, di chi vi lavora, dei clienti, dei fornitori, degli altri partners e della comunità.

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