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AdV_N1_gennaio_febbraio2014 coverdi Massimo Bolchi.* Facebook compra Whatsapp per 16 miliardi di dollari. Collochiamo la notizia in apertura di questo breve commento non solo per la dimensione finanziaria della transazione, che ha già fatto “annusare” a molti commentatori finanziari il rischio di una seconda “bolla”, quanto per l’aneddoto emerso – e immediatamente rilanciato – sui social network all’indomani della comunicazione ufficiale.Cinque anni fa Brian Action, uscito da Yahoo di cui era stato il 44° dipendente assunto dalla fondazione, tentò di farsi assumere da Facebook e da Twitter, senza successo. Identica sorte toccò ai tentativi di Jan Koum, suo ex-collega a Sunnyvale. L’esito negativo venne naturalmente comunicato sui social network, con un post intriso di ottimismo. “Sarebbe stata un’ottima opportunità. […] Ma non vedo l’ora di lanciarmi in una nuova avventura”. L’avventura era appunto la creazione di Whatsapp, insieme allo stesso Koum. A distanza di nemmeno un lustro, ecco la mega-cessione. Oltre ad arpeggiare sull’imperscrutabilità del Fato, l’episodio serve a confermare – per l’ennesima volta ove ve ne fosse ancora bisogno – quali sono le vere “materie prime” in un sistema economico che, sebbene a velocità diverse, sta ovunque migrando nei terreni digitali.

Solo qualche settimana fa il presidente Barak Obama, con il suo appello agli industriali USA e le sue disposizioni alla pubblica amministrazione a stelle e strisce affinché innalzassero il salario minimo a 10 dollari l’ora, metteva impietosamente in luce il volto di un’economia “tradizionale” che ha trovato nella “infinita” compressione dei costi la soluzione per andare avanti. Quanto sono lontani i tempi in cui Henry Ford aumentava di propria iniziativa la retribuzione agli operai che lavoravano nei suoi stabilimenti perché “devo pagarli meglio se voglio che siano in grado di acquistare le mie automobili”.

Prima si franare sul versante sociologico, però, torniamo al punto. Al di là della cifra più o meno congrua, l’acquisto di Whatsapp è solo l’ultima di una serie di acquisizioni, quotazioni e valutazioni che mostrano come il valore differenziante di un’impresa risiede sempre più negli “intangible asset”, nella primigenia “idea” che ne ha decretato il successo. Non una cattiva notizia per un’industria come quella della comunicazione, fondata proprio sulla capacità creative e sulle idee originali.

*direttore di AdV Strategie di Comunicazione – www.advertiser.it

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