Identity provider SPID: il Consiglio di Stato boccia la norma che escludeva anche le aziende Ict di piccole dimensioni

Assoprovider ha promosso l’azione facendo ricorso al Tar il vincolo di capitale provider di identità digitale Spid recependo le direttive europee sistema che permette di avere una unica identità digitale unica  univoca che viene certificata da un soggetto terzo. Il problema era che i requisiti di capitale sociale nulla c’entrano con le capacità tecniche di chi deve fare questo servizio. Dopo il Tar del Lazio anche il Consiglio di Stato boccia la norma sul capitale sociale introdotta nello SPID perché irragionevole, quindi illegittima. Il mercato Provider di identità digitale Telecom Poste italiane e Infocamere . Leggendo bene la sentenza del Tar tutto l’impianto dello spid sarebbe da ridiscutere. Il Governo ha innalzato a 10 milioni e garanzia fideiussoria di 15 milioni. L’inserimento del codice di amministrazione sociale in cui questi servizi di identità vengono equiparati Incostituzionalità di tutto lo Spid è un servizio utile e necessario introduce una griglia  di selezione arbitraria che introduce.

firma digitale, carta identità  digitale.

tutto quello che sarà l’interne delle cose cadrà anche lui  nell’identità digitale frigirifero ed esselunga anche la dialisi che trasmette le dove c’è un dato sensibile la cerificazione di chi sta svolgendo questa operazione

chiarire quai sono gli aspetti sensbili il passagio delle informazioni tra un identity e l’altro, quali info, come garantire le informazioni, scadenza, quanto vale. EDAS.

Identity provider Il Consiglio di Stato dà ragione ad Assoprovider sul tema dello SPID

Assoprovider 200 aziende, accoglie con enorme soddisfazione la sentenza del Consiglio di Stato n° 01214/2016 del 24 Marzo 2016, che annullando definitivamente i requisiti di capitale per le attività di identity provider stabiliti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, statuisce una volta per tutte, come l’affidabilità di una azienda non possa essere messa in relazione al capitale sociale.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva inoltrato ricorso al Consiglio di Stato dopo aver incassato l’alt dal Tar del Lazio, sul tema dell’elevato capitale sociale necessario, quale elemento di qualifica per poter diventare Identity Provider SPID (art. 10, comma 3, lett. a) del D.P.C.M. 24 ottobre 2014)

“La Sezione, nel condividere gli argomenti della sentenza impugnata, ritiene che l’appello debba essere rigettato.

Non può condividersi infatti l’argomento invocato dall’appellante Presidenza del Consiglio dei Ministri, secondo cui l’elevato capitale sociale minimo di 5 mln di euro della società di capitali, alla cui costituzione debbono procedere i gestori dell’identità digitale nel sistema SPID, sarebbe indispensabile per dimostrare la loro affidabilità organizzativa, tecnica e finanziaria, e ciò solo perché l’attività di cui trattasi richiede un rilevante apporto di elevata tecnologia, la cui validità non può ritenersi direttamente proporzionale al capitale sociale versato.

In questi termini, si evidenzia altresì l’illegittimità per irragionevolezza dell’impedimento all’accesso al mercato di riferimento, dovuto all’elevato importo del capitale sociale minimo richiesto con l’atto impugnato, trattandosi di scelta rivolta a privilegiare una finalità di incerta efficacia, a fronte della sicura conseguenza negativa di vedere escluse dal mercato stesso tutte le imprese del settore di piccole e medie dimensioni, quali appunto quelle rappresentate dalle associazioni ricorrenti.”

(fonte:https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/Ricerca/index.html?tipoRicerca=Provvedimenti&FullText=&FullTextA=&FullTextAdvanced=&advInNotParole=&advInFrase=&ResultCount=&ordinaPer=xNumeroDocumento&xTipoDocumento=PROVVEDIMENTI&xTipoSubProvvedimento=&xTipoProvvedimento=SENTENZA&xClassificazionePlenaria=&xSede=Consiglio+Di+Stato&xTipoProvvedimentoDecisione=DECISIONE&xNumeroDocumento=201601214&xAnno=2016&xNProvv5=01214&PageNumber=&StartRow=&EndRow=&advanced=false )

 

Assoprovider, nel ribadire come questa sia una battaglia di civiltà giuridica e sociale a favore di tutti i cittadini, soprattutto di quelli nelle zone del cd digital divide, vuole ringraziare tutti coloro che hanno speso energie e tempo per raggiungere questo risultato, primi fra tutti i legali dello Studio Legale Sarzana e Associati, che hanno patrocinato i ricorsi.

Assoprovider invita tutte le aziende mPMI dell’ICT a cogliere questa vittoria come una dimostrazione che la selezione illegittima, voluta da norme inique non trasparenti e discriminatorie, si può e si deve combattere in ogni sede.

Allo stesso tempo, Assoprovider invita le forze politiche a cogliere questo segnale ed a farsi promotrici di azioni che creino coesione e compartecipazione di tutti i soggetti imprenditoriali che costituiscono il tessuto industriale di questo Paese, evitando norme ormai fuori dal tempo, che rallentano lo sviluppo competitivo.

Soddisfatto il Presidente di Assoprovider, Dino Bortolotto, vero paladino di questa difesa del diritto: “Un piccolo passo voluto con grande intensità dalle mPMI oggi è stato fatto, ma molti altri ne debbono essere compiuti e noi di Assoprovider ci siamo.”

ASSOPROVIDER

L’Associazione

Assoprovider, agisce con una costante azione a tutela della libertà d’Impresa, di auspicata parità di trattamento e concorrenza tra operatori delle telecomunicazioni, oltre che la conseguente difesa dell’interesse generale degli utenti, specie di quelli che subiscono i fenomeni di esclusione digitale.

Seguendo questa linea si è imposta e ha ottenuto importanti risultati come il recepimento della normativa europea per l’adozione del wireless nell’ordinamento italiano (Decreto Landolfi 2005) e in tempi recenti l’abolizione del patentino per gli installatori (Dm314/92) e l’accesso non discriminatorio alle licenze di operatore nei vari ambiti delle TLC (destinazione Italia 2013), con notevole abbattimento dei costi precedente sostenuti che impedivano una condizione di libero esercizio di certe attività economiche (allegato 10 Codice delle Comunicazioni).

NON è corretto che il Governo abbia affidato la gestione della nostra identità digitale alle sole grandi aziende. L’ha stabilito il Consiglio di Stato in una sentenza questa settimana, confermando quella emessa dal Tar del Lazio e accogliendo il ricorso delle associazioni Assoprovider e Assintel, che rappresentano molte Pmi del digitale italiano.
La battaglia è intorno a Spid, il Sistema pubblico dell’identità digitale che è partito il 15 marzo, ossia quel sistema di password che ci consente di accedere a una molteplicità di servizi pubblici (e in futuro anche di aziende private) con un identificativo unico.

Alle piccole e medie aziende rappresentate da quelle associazioni – tra cui ci sono anche storici provider internet italiani – non va giù di essere esclusi dalla partita, fondamentale per il futuro digitale del nostro Paese. A escluderli sono i requisiti del decreto che ha istituito Spid, il quale richiedeva almeno 5 milioni di euro di capitale sociale per poter fare il fornitore dell’identità digitale ai cittadini. Al momento è possibile ottenerla infatti da Tim, Poste e Infocert (ecco come).

Il Consiglio di Stato ha chiamato “irragionevoli” quei requisiti. Il motivo è che ritiene infondato l’argomento per il quale il Governo ha fissato quel limite. Ossia che bisogna essere una grande azienda per garantire l’affidabilità e la sicurezza dell’identità digitale. Per il Consiglio di Stato anche una Pmi insomma potrebbe essere un buon fornitore di identità ai cittadini, posto che dimostri all’Agenzia per l’Italia Digitale (che autorizza questa funzione) di essere in grado di farlo bene.

Dall’Agenzia al momento fanno sapere che non cambia nulla per le sorti di Spid. Certo non viene bloccato; né i requisiti possono al momento cambiare dato che a stabilirli non è solo quel decreto, ma anche il relativo regolamento emanato dall’Agenzia. Per altro, anche il nuovo Codice dell’amministrazione digitale (il Cad, in via di approvazione) fissa limiti per poter fornire Spid, addirittura ancora più stringenti: almeno 10 milioni di capitale sociale. Da una parte quindi la battaglia legale delle Pmi innovative continua, per farsi riconoscere un ruolo da protagonisti nella trasformazione digitale del Paese; dall’altra, la sentenza del Consiglio di Stato dà comunque un segnale importante al Governo- e al Parlamento a cui toccherà ora convertire in legge il Cad.

E il segnale è che non bisogna essere grandi aziende per prendersi cura della nostra chiave d’accesso ai servizi digitali. Basta essere buone e affidabili aziende tecnologiche. “Il consiglio di stato non ‘ha bocciato Spid. Non ha invalidato il sistema. Anzi, casomai allarga il potenziale numero di identity provider”, ha scritto su Facebook Stefano Quintarelli, parlamentare (Gruppo Misto) e uno dei padri della normativa Spid, prevedendo quindi la possibilità che – alla fine della contesa – le grandi aziende perderanno l’esclusiva. “Spero che la presidenza del Consiglio, nella persona di Matteo Renzi voglia ora prendere atto della sentenza del Consiglio di Stato – ha detto Fulvio Sarzana, uno dei legali che

ha assistito le associazioni – e decida di abbandonare definitivamente le norme del Codice digitale che affidano di fatto al sistema bancario l’intero sistema pubblico di identificazione digitale, privando le piccole e medie imprese del nostro paese di un mercato promettente”.

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