Mar 27 2013

Un fallimento in streaming

Ma che cavolo era la messa in onda dello streaming dell’incontro tra il Movimento 5 Stelle e  Bersani? Il controllo della telecamera, va bene. Potrebbe essere utile, ma il tutto era triste, ingessato, finto, falso.  Sembrava che lo streaming fosse più necessario a chi era fuori con l’obiettivo di controllare i movimenti dei delegati dell’M5S. A me sembra di sì. Bersani non ha più tempo, e questo era chiaro da prima. Non è l’uomo del cambiamento, della svolta, del giro di boa. Intanto il Paese reale, una frase che fa venire i brividi ogni volta che si cita, si legge e si scrive, ha bisogno di non perdere più tempo. Il presidente di Confindustria, Squinzi lo ha ribadito: sembra che non si rendono conto che fuori del Parlamento ci sono aziende non solo medie e piccole ma anche grandi ormai del tutto congelate. Da chi? Da una parte le banche – sotto smacco Europa – che hanno smesso di fare credito, dall’altra parte le società di reting che declassano il Paese e le aziende italiane, e fanno alzare il differenziale tra Bund e Bond italiani (spread). Ma non solo. Le materie prime costano sempre di più. I consumi scendono sempre di più. I magazzini di riempiono sempre di più e la produzione cala, cala, cala. Sempre di più. Quindi non si produce più, non si vende più  – e non si compra più, salgono le tasse e i costi (tra qualche mese l’Iva sui consumi sale dell’1%), non c’è una lira in cassa o poco più. Come si fa a tenere botta? Come fanno le aziende a mantenere l’occupazione e non mandare a casa i dipendenti? Come fanno a non chiudere i battenti, continuare ad acquistare le materie prime, pagare l’energia per produrre, lavorare il prodotto per poi distribuirlo? Che vogliamo fare? Quanto tempo vogliamo ancora dare a questi politici? Propongo che le aziende che stanno smantellando i capannoni lo mandino in streaming in tutto il mondo con il sottotitolo: ecco come muore una nazione

Dic 30 2012

La sesta democrazia

Sulla prima pagina del Corriere della Sera di sabato 29 dicembre il costituzionalista Michele Ainis,  professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università degli Studi di Roma III,  firma un fondo intitolato le Cinque Democrazie nel quale elenca, abbinandole a cinque diversi protagonisti delle prossime elezioni italiane, altrettanti modelli democratici. Quello di Bersani, scrive Ainis, è un modello di democrazia innervata dai partiti che in qualche modo fa coincidere i partiti con le stesse istituzioni. Quello di Berlusconi, basato sul rapporto diretto tra il leader e i suoi elettori, scavalca il partito e offusca qualunque altro potere dello Stato con una lettura verticistica del principio di sovranità popolare. Quello di Monti cerca legittimazione attraverso le competenze rifiutando la politica come professione e sottintende come ciascun cittadino possa ambire al governo della polis. Quello di Grillo chiamata democrazia digitale si poggia sul web canale privilegiato per mobilitare, comunicare ed elaborare. Quello di Ingroia, e insieme a lui Di Pietro, De Magistris &Co., di ispirazione giudiziaria che Ainis definisce il possibile governo dei custodi. Ci piace pensare che esista anche un sesto modello di democrazia che parta dalle realtà locali, dalle associazioni, dalla gestione quotidiane della cosa pubblica, dai sindaci senza etichette e senza demagogie. Che parta da quelli che operano ogni giorno con impegno, serietà, onestà, indipendenza economica e culturale nella gestione della polis. Che sia vera espressione di partecipazione diretta. Che porti avanti istanze condivise. Che sappia gestire il la cosa pubblica come potrebbe fare un buon padre di famiglia. Una rappresentanza di persone preparate, innovative portatori di una ‘visione’ per il terzo millennio. Una visione ampia meno tattica e più strategica, di lungo periodo. Che sappia ripensare al sistema e lo sviluppo economico sottraendolo al potere della finanza e immaginare  una cresciuta globale possibile. Uno sviluppo che tenga conto delle mille trasformazioni in atto e sotto gli occhi di tutti: dai cambiamenti climatici allo sfruttamento delle risorse naturali; dalla produzione alternativa di energia alla gestione delle materie prime; dalla creazione di nuove materie ai nuovi modelli di produzione; dalla programmazione di nuovi modelli di welfare  alla ricerca di risorse economiche e maggiore equità fiscale; dalla ricerca scientifica applicata alla gestione e diffusione della conoscenza; dalla sanità possibile alla giustizia giusta; dai nuovi modelli sociali che si stanno delineando in diversi settori (alimentare, abitativo, mobilità, cura delle persona, innalzamento delle aspettative di vita, nuovi consumatori e post-consumatori, etc). Insomma ripensare alla gestione del territorio nel quale viviamo tutti noi dall’impresa all’ultimo degli esclusi. Buon 2013