Feb 11 2024

Non lasciate che i vostri vecchi muoiano di indifferenza e solitudine

Non lasciate che i vostri vecchi muoiano di indifferenza e solitudine

Si può lasciare questo mondo in tanti modi. Spesso per malattia, a volte per limiti di età, quando il nostro corpo consumato dice basta. Stavo pensando a mia madre Jole, poco fa. Lei se n’è andata il 14 agosto di alcuni anni fa. Gli anni del covid. Ma non è morta di covid. L’epidemia a cui eravamo tutti soggetti, è stata forse una concausa. Perchè l’ha costretta a restare isolata. Spesso proprio sola. Ma Jole non aveva paura della solitudine. O invece sì che ne aveva paura. Aveva i suoi amici, i suoi molteplici interessi che la tenevano in vita brillantemene per una persona che ha vissuto 95 anni. Usciva, entrava, cucinava pur con l’aiuto di una persona che restava in sua compagnia almeno per mezza giornata. Aveva una bella tempra Jole. Che è rimasta intatta prima dell’inizio del suo verticale tracollo degli ultimi mesi.

Avrei potuto fare qualcosa in più per lei, avrei potuto sostenerla, piscologicamente, affettivamente oltre sbrigare faccende quando andavo a trovarla a Milano?

La risposta è sì, avrei potuto. Ma non sono riuscito a starle accanto come avrei dovuto. Lo focalizzo solo ora. La superficialità e l’inconsistenza delle relazioni che spesso abbiamo con i nostri genitori, determinano il loro scollamento nei confronti della vita. Innescano l’apatia. Jole, invece, era una che voleva vivere e che non si è mai lasciata andare. Il covid ha creato paletti e confini per cui, volendo rimanere nella sua casa, era difficile andarla a trovare anche per chi come mia sorella era medico. Quello di cui mi rammarico e di non avere avuto la voglia, l’energia, la consapevolezza, di incontrarla ‘davvero’. E per davvero intendo senza pregiudizi e giudizi, senza il peso del passato, delle nostre incomprensioni e incomunicabilità. A sprazzi solo a sprazzi sono risucito a superare le barriere mentali e avvicinarmi a lei come persona e non come figlio. Avvicinarsi avrebbe significato sedersi accanto e chiederle con il cuore aperto e in ascolto: ‘Mamma come stai’? Oppure ‘Papà come ti va?’ Non solo nel fisico, che era quel che era, ma nello spirito, nell’anima, nei suoi pensieri e nel suo cuore. E mi rendo conto che un velo di indifferenza ha ostacolato il nostro ideale dialogo.

‘Mamma come stai’? ‘Papà come ti va?’

Quello che avremmo forse voluto e potuto avere ma che, ognuno chiuso nel proprio dolore, nel proprio buio, nell’impossibilità di comunicare, non è riuscito a tirare fuori. E così è trascorsa buona parte del nostro tempo insieme. Mansioni da svolgere, richieste da esaudire in una routine quotidiana eseguita con scarso amore. La solitudine percepita quando si è in compagnia, è ancora più devastante. Per questo ora ripensare a quegli anni mi pesa. Ripensare al tempo perso dietro al muro del non aver saputo comunicare, mi addolora. Ai giovani dico di non lasciare che le incomprensioni invadano lo spazio amorevole che potreste concedervi con i vostri genitori. Non lasciate che le vostre quotidiane problematiche cancellino il sacro tempo che potreste dedicare a loro. Non servono ore. Bastano pochi, reali e sinceri minuti per fare sentire la vostra vicinanza anche se vivete a chilometri di distanza. Hanno bisogno di sentire la presenza del vostro cuore.

Hanno biosogno di sentirsi persone prima che i vostri genitori

Oggi mi capita di cercare Jole e a volte riesco a sentirla. Sò che c’è, che mi sostiene, che frammenti della sua tenacia e della sua tempra puntellano i miei sbandamenti. Quel tempo perso non lo recupero più. Oggi posso solo mettere più attenzione, presenza e amore nelle relazioni con le persone che fanno parte del mio quotidiano, nel volontariato e nelle attività che seguo.

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