Feb 12 2022

I giovani che stanno cambiando l’Italia

Il nostro Paese, quello che ci piace, sta cambiando e i fautori di questo cambiamento sono proprio i giovani. C’è poco da fare. Potrebbe sembrare retorica ma retorica non è. Questi ragazzi valgono forse più dei loro genitori.

C’è una nuova generazione di giovani dai 14 ai 30 anni donne e uomini che dedicano il loro tempo a studio e sport. Con disciplina, dedizione, tenacia, ideali e molte privazioni. Giovani che ci credono. Figli di genitori che non sono riusciti a incidere più di tanto nel sociale. E di cui loro si sono impossessati del testimone.

Fratelli e sorelle d’Italia

Nel 2019 siamo entrati nella pandemia. Abbiamo perso i nonni, i padri, le madri, i fratelli, i vicini di casa, gli amici di sempre e conoscenti. Abbiamo perso tante persone che non conoscevamo. Ci siamo stretti tutti quanti insieme e abbiamo pianto da soli e in compagnia. Abbiamo resistito. Con regole e leggi a cui ci siamo sottoposti con diligenza e fiducia.

In questi lungi mesi è la fiducia che ci ha fatto resistere. E intanto i giovani hanno continuato a studiare (a casa) e allenarsi (anche in cantina). Hanno seguito le loro discipline sportive. Si sono allenati con maggiore vigore e certezze. Certezze nelle regole e nella disciplina. Nel sacrificio.

I giovani vanno protetti

Abbiamo vinto decine di medaglie alle Olimpiadi siamo sul tetto del mondo nella velocità, abbiamo vinto gli Europei di calcio in un crescendo unico. E ora anche l’exploit alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022. I nostri ragazzi hanno continuato ad allenarsi, a crederci. Mentre a casa famiglie coese e vicine più che mai custodivano la loro crescita.

Si sono forgiati in un clima che sapeva dei loro nonni, di eroi ed eroine come solo noi italiani sappiamo essere quando ci mettiamo d’impegno. Io sono orgoglioso di questo Paese e di essere italiano. La meglio gioventù di quelli nati dopo il passaggio del Millennio è la colonna portante della nostra società. Bravi ragazzi.

Feb 10 2022

Il Giorno del Ricordo per non dimenticare le foibe

Il rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tommaso Montanari, ha criticato il Giorno del Ricordo a un convegno dal titolo: «Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del Ricordo».

Il Giorno del Ricordo è stato istituito — come recita la legge n. 92 del 30 marzo 2004 — “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra”.

Durante il convegno che ha avuto una scarsa partecipazione Montanari ha ribadito che in discussione non era  la tragedia delle vicende ma il revanscismo fascista che ha portato all’istituzione della legge del 2004 sostenendo che questa ricorrenza sia «una falsificazione storica» voluta dalle destre. I

Il Giorno del Ricordo non è nato in evidente opposizione alla Giornata della memoria (della Shoah). Non esiste nessuna equiparazione fra i due event.

La Shoah indica l’unicità di una tragedia senza paragoni. Le foibe sono una voragine dell’inebetimento umano. Non paragonabili al progetto di genocidio dei nazisti anche se parte di quell’ideologia di purificazione etnica che imbianca tutti i sepolcri del mondo.

“Chi nega o minimizza il dramma delle foibe è come se volesse rigettarne la memoria. Coprire, nascondere. Perché?”, dice Elisabetta de Dominis presidente della società Ad Futuram Memoriam. “Perché non vuole riaffiori la coscienza sporca di quello che è stato fatto. Ma che persone sono quelle che si mettono a dissertare che non si tratta di negazionismo ma di “libertà di ricerca e di critica”?

“La libertà di ricerca è solo quella che si fa nelle foibe, per tirar fuori i cadaveri dove sono stati gettati uomini e donne, dopo essere stati mutilati, privati degli occhi, violentate e infine arsi vivi. La ricerca storica poi si può fare negli archivi, come ha fatto Roberto Spazzali, che ha dato in questi giorni alle stampe “Pola città perduta” (edizioni Ares)”.

“Gli istriani e i dalmati non possono accettare che la verità storica sia determinata dagli “storici”, perché non stiamo parlando dell’epoca dell’impero romano, ma di soli 80 anni fa, e noi sappiamo perché abbiamo vissuto, visto e sentito. Noi siamo la storia dell’esodo. Inoltre di quali “storici” parliamo? Di gente che nega, per esempio, i cadaveri che stanno estraendo in Slovenia?”.

Qualcuno nel corso di questi anni ha paragonati la Shoah alle foibe…

“Quello che disgusta più di tutto e che si cerchi di creare odio tra gli ebrei e gli esuli, sostenendo che “si vogliono equiparare le foibe alla shoah”.  Come a dire: i campi di concentramento tedeschi sono stati ben peggio. Non si tratta di soppesare l’efferatezza dei crimini. Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello il pensiero che tutto sommato mio suocero, che è stato infoibato, ha sofferto meno, solo 3 giorni visto che poi è stato estratto vivo, rispetto a mio nonno materno irredentista, prigioniero politico, che è tornato da Dachau dopo un anno e mezzo”.

Chi ha sofferto di più?

“Non mi sono mai chiesta: chi ha sofferto di più? Il mio bisnonno ebreo che ha intestato tutte le sue proprietà agli ustascia croati per evitare il campo di concentramento o mio nonno paterno e mio padre, di famiglia nobile e cattolica, che hanno lasciato tutto l’8 settembre, fuggendo all’arrivo dei titini con i soli vestiti estivi addosso?”

“Senza conoscenza del passato, un popolo affoga nel presente. Noi italiani non dobbiamo smettere di ricordare. E la scrittura è l’unico modo che ci permette di conservare e trasmettere le emozioni vissute e patite. La nostra storia, l’unica nostra eredità”. Conclude de Dominis che lancia il progetto Kepown.  Una piattaforma social che intende custodire la memoria dell’umanità dove gli scrittori possono atterrare, perché solo attraverso la scrittura si crea la cultura di un popolo.

“Senza cultura un popolo non ha identità. Lo sa bene l’Unione degli Istriani: gli esuli hanno scelto di abbandonare la loro terra per mantenere l’identità italiana e la libertà di pensiero”, prosegue de Dominis.

Kepown e l’Unione degli Istriani hanno indetto la prima edizione del concorso nazionale “Raccontare per ricordare” l’esodo giuliano dalmata. Tutti gli italiani sono invitati a scrivere con empatia e immaginazione una storia sull’esodo partendo dai fatti reali che lo causarono.

Al termine del concorso, la direzione di Kepown affiderà i testi a una giuria qualificata per la selezione. Saranno premiati: il racconto più commovente, il più romantico e quello che avrà ricevuto più like. I premi: i racconti vincitori e quelli più meritevoli saranno pubblicati in un libro edito dall’Unione degli Istriani e rimarranno pubblicati su Kepown ad futuram memoriam. Gli autori dei primi tre racconti vinceranno pure un soggiorno in Istria e Dalmazia.