Stefanel, Legrenzi e Mcs in crisi

Tre aziende della moda, tre realtà diverse, tre crisi simili per molti aspetti. A partire dalla posizione occupata sulla cartina geografica, il Veneto: la stessa per Stefanel, Mcs Italia e Legrenzi. Una casualità, forse, che nondimeno mette in luce come la crisi stia picchiando duro anche nel Nordest, abitualmente meno legato di altre aree alle congiunture nazionali.

Nella sede di Ponte di Piave (Tv), dall’inizio del prossimo anno Stefanel non farà più produzione: un provvedimento preso dai vertici dell’azienda a causa della crisi interna che ha portato, secondo quanto riportato dalla stampa locale, a mettere in cassa integrazione con scadenza a fine anno 93 lavoratori. In proposito è stato forte l’appello al governo del senatore Antonio de Poli: “Dietro la Stefanel c’è un problema complesso che si chiama delocalizzazione: quando il costo del lavoro è più basso nei Paesi dell’Est e in Cina, ecco che un’impresa come Stefanel si trasforma da unità produttrice a impresa commerciale che importa beni prodotti altrove per poi venderli. Di questo passo il manifatturiero veneto finirà per morire”, ha dichiarato il parlamentare a La Tribuna.

Ma Stefanel, purtroppo, non è la sola a soffrire: anche Mcs Italia, ditta tessile di Valdagno (Vi), ex Marlboro Classic del gruppo Marzotto, è alle prese con un piano industriale che prevede 99 esuberi su un totale di 166 dipendenti, alla luce dell’andamento negativo degli ultimi anni. Si attende proprio per questi giorni un incontro tra lavoratori e vertici aziendali per discutere del piano industriale, specie in merito alla ricollocazione della produzione. Intanto, prosegue lo sciopero dei lavoratori.

Infine, per uscire dal tunnel del calo dei consumi, il gruppo Legrenzi ha cercato di salvare l’attività, in forte perdita, alleandosi ad altri imprenditori. La società di San Michele Extra (Vr), presente sul mercato dell’abbigliamento donna, ha messo in salvo i marchi Mariella Rosati e Tela attraverso la fondazione di una newco nella quale è stata reimpiegata la metà dei dipendenti (per gli altri, invece è scattata la cassa integrazione). Dopo l’ammissione al concordato preventivo, la fase di riorganizzazione e riassetto dovrebbe permettere all’azienda di sopravvivere.

 

 

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