Il 59% delle Pmi sta trasformando il proprio business
per competere su scala globale.

Picture1Le Piccole e Medie Imprese di successo, che in Italia e nel resto del mondo continuano a crescere, sono quelle che pensano e agiscono su scala globale, affrontando nuovi mercati ed entrando in competizione anche con aziende più grandi e organizzate. Si tratta di imprese che stanno creando una cultura dell’innovazione, investendo in modo significativo in tecnologia per evolvere il proprio business, al fine di migliorare i processi e incrementare flessibilità e velocità nel rispondere alle opportunità del mercato. E’ quanto emerso da una ricerca condotta dall’Istituto Oxford Economics e commissionato da SAP su 2.100 cio e decisori It di Pmi che operano in tutti i principali settori, con un fatturato annuo compreso tra i 20 e i 750 milioni di dollari, in 21 Paesi del mondo –   www.sap.com/italy.

“Anche in Italia, le Pmi si trovano oggi a operare in un ambiente di business nuovo e complesso: come le grandi aziende multinazionali, devono affrontare problematiche legate alla sempre maggiore globalizzazione, alla forte competizione locale e internazionale, a nuove tipologie di clienti più informati ed esigenti e a tecnologie che evolvono rapidamente, rendendo obsoleti i tradizionali paradigmi e modelli di business”, dice Massimiliano Ortalli, general business director – E&C Organization di SAP Italia. “Per far fronte a queste sfide e rimanere competitive sul mercato, le piccole e medie imprese si stanno trasformando radicalmente: il 59% delle Pmi italiane ha completato, o è in procinto di completare, un processo rilevante di trasformazione del proprio business. E sempre più spesso questo è possibile scommettendo sulla tecnologia. Un segno che le Pmi in Italia hanno compreso la necessità di doversi adattare a un mercato sempre più globale e conoscono le modalità per affrontare tale sfida”.

Secondo i risultati della ricerca, infatti, il 59% delle piccole e medie imprese italiane , in linea con il resto d’Europa, sta evolvendo i propri modelli di business, l’offerta di prodotti e le strategie di go-to-market per rimanere al passo con i nuovi scenari di mercato. In questo contesto, il 55% delle Pmi in Italia sta avviando nuove collaborazioni con fornitori e partner di altri Paesi, dimostrando la propria propensione e volontà a muoversi ed espandersi a livello internazionale: non a caso, nel 32% dei casi l’espansione del business su scala globale è considerata un fattore altamente strategico per la competitività e la crescita. Nello scenario attuale, solo il 14% delle Pmi del nostro Paese (contro il 21% a livello europeo) non genera ricavi al di fuori dell’Italia, dato destinato a scendere all’8% nei prossimi 3 anni (contro il 15% previsto in Europa). Inoltre, circa un terzo (31%) delle imprese italiane prevede che nei prossimi 3 anni tra il 21% e il 40% dei propri ricavi sarà generato su scala globale, contro il 24% odierno.

Tuttavia, agli occhi delle Pmi italiane ciò che più di tutto può contribuire al successo e alla crescita in un contesto di competizione globale è l’innovazione, quale strumento per il raggiungimento dell’efficienza e il contenimento dei costi (per il 46% delle aziende, rispetto al 49% a livello europeo). In questo contesto, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale. A fronte di un 47% che dichiara di investire in innovazione tecnologica solo quando esiste un chiaro ritorno sugli investimenti (Roi), entro i prossimi 3 anni le Pmi italiane prevedono un incremento consistente nell’utilizzo della tecnologia a servizio del business.

Pur con un evidente slancio positivo verso il futuro, che le rende fiduciose di avere gli strumenti per competere su scala globale, per il 45% delle Pmi italiane l’incertezza economica legata al particolare momento storico in cui si trovano a operare costituisce un forte elemento di apprensione, registrando un livello molto superiore alla media europea (30%) e mondiale (32%). A seguire, anche i costi del lavoro in costante crescita (31%) e il livello di competizione globale sempre più alto (26%) rappresentano ulteriori fattori di indeterminatezza fortemente sentiti dalle imprese in Italia.

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