Fertility Day. Perchè la campagna di comunicazione non funziona

Fertility Day. Ecco perché la campagna di comunicazione del Ministero della Salute non funziona: manca la connessione empatica con il target di riferimento, un’immagine (visual hammer) nella quale identificarsi.

Lasciamo perdere l’idea per un attimo, lasciamo perdere il Ministro Lorenzin, lasciamo perdere tutto. Atteniamoci soltanto al livello di comunicazione che, come ben sappiamo, non ha nulla di oggettivo visto che l’efficacia delle stessa non è misurabile. Restiamo criticamente ancorati alla scelta del linguaggio scelto dal Ministero. Ci domandiamo: che cosa ci aspetteremmo dalla comunicazione di un Ministero? Dei contenuti espressi con autorevolezza; sensibilità verso il target a cui è rivolto (per sensibilità intendo che i contenuti vengono comunicati tenendo conto dei punti deboli e delicati delle persone destinatarie del messaggio); promozione di valori positivi per il cittadino. “Analizzando entrambe le campagne per il Fertility Day possiamo vedere come siano stati mancati tutti e 3 i punti”, spiega Patrizia Parca, Graphic Designer di Powerlogo, azienda specializzata nella creazione di Fertility daylogo professionali efficaci e funzionali, da noi intervistata.

1) L’autorevolezza si perde fra grafiche sciatte e riciclate (foto di stock già ampiamente usate e senza valore comunicativo).

2) la sensibilità ampiamente distrutta con la campagna precedente (in cui i cittadini venivano colpevolizzati di avere avuto un figlio solo, o non averlo avuto in tempo), una campagna che non ha tenuto conto della libertà di scegliere se avere o non avere figli e dei reali problemi che spesso le giovani coppie si trovano ad affrontare.

3) i valori positivi che dovrebbero aiutare ad informare sono stati sostituiti da stereotipi banali e offensivi, sessisti nella prima tranche e addirittura razzisti nella seconda immagine di campagna (la cover dell’opuscolo), dove viene contrapposta una famiglia bianca e tradizionale come “abitudini sane” e una con persone di colore e hippie come “cattive compagnie”.

Ma perchè non ha funzionato?

“Si potevano fare tante cose in modo diverso”, continua Patrizia Parca. “Abbiamo l’esempio della campagna svedese, oppure quella contro il fumo statunitense che con lo slogan “be the generation that ends smoking” da una carica diversa, di empowerment (di responsabilità) al contrario, la campagna ministeriale sembra pensata solo per dare colpe a qualcuno e non per informare. Ma soprattutto è stata dimenticata una regola d’oro della comunicazione: connettersi emotivamente con il proprio target, trovare un’immagine nella quale le persone possano identificarsi, riconoscersi, per far passare un messaggio capace di essere ricordato anche a campagna finita”.

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