L’innovazione dei piccoli che aiuta i grandi
La barriera di Arrigoni per l’Ilva di Taranto

arrigoni_barriera_antipolvere_6Avete presente il Museo del Louvre di Parigi? E il Duomo di Milano o l’Altare della Patria a Roma? Monumenti e musei importanti che nel corso degli ultimi anni sono stati sottoposti a interventi di recupero e restauro con un comune denominatore. Durante i lavori l’ incolumità e bellezza di questi monumenti sono state protette con le reti prodotte da una media azienda comasca. Ma pochi sanno che il suo più eclatante impegno è legato alla recente cronaca economica e ambientale. E soprattutto a un territorio, una popolazione, un quartiere: l’Ilva di Taranto.L’azienda in questione è la Arrigoni S.p.A. di Uggiate Trevano (Co). Timonata dall’amministratore delegato Paolo Arrigoni, l’azienda di famiglia nasce nel 1936 come impresa tessile. Sarà il padre Giovanni all’inizio degli anni ‘60 a dare una svolta e iniziare la produzione di reti in polietilene. Nei decenni successivi la ricerca e la curiosità della famiglia introducono il monofilo in polietilene con cui si iniziano a tessere reti con spessori e specifiche che soddisfano un’ampia gamma di esigenze: dall’agricoltura all’edilizia, all’industria. La commessa per l’Ilva è stata assegnata grazie all’esperienza acquisita in quarant’anni di continue e nuove applicazioni e ricerca che hanno consentito di realizzare tessuti tecnologici resistenti e multifunzionali.

“Disponiamo di una camera climatica capace di ricreare condizioni estreme per controllare temperatura e umidità”, dice Paolo Arrigoni, “La camera ci consente di studiare gli effetti dell’esposizione dei tessuti in ambienti difficili. Questo ci ha permesso di realizzare il tessuto tecnico denominato 2382 Libeccio 70 e utilizzato per la realizzazione della barriera posta al confine tra i parchi minerari e la confinante strada provinciale che avvolge tutto il complesso dell’Ilva. L’obiettivo di questa barriera è quello di contenere la diffusione di polveri pesanti dalla zona verso l’esterno. E ce la stiamo facendo”.

Come è nata la commessa per l’Ilva?

“Il contatto risale al giugno dello scorso anno. Ilva richiedeva di “intrappolare” le polveri. Dopo studi e approfondimenti del nostro ufficio tecnico in collaborazione con lo stabilimento di Taranto, la commessa è rimasta in stand by per alcuni mesi – viste anche le vicissitudini giudiziarie e ambientali. Lo sblocco è avvenuto lo scorso aprile. Riteniamo di essere stati prescelti per la nostra ‘vocazione qualitativa’: reti ad alta tenacità e durata dalle grandi prestazioni. E per la nostra esperienza di ricerca e laboratorio”.

Come avete operato a Taranto viste le dimensioni del polo siderurgico?

“L’area da circondare è di 1.100.000 metri quadrati. Il nostro prodotto frangipolvere è composto da una rete sottilissima (magliatura 1.600 my) che protegge il quartiere Tamburi battuto dai venti provenienti dal mare. L’aria attraversa gli enormi cumuli di materia prima stoccata e mantenuta bagnata dopo la lavorazione. Le polveri, grazie all’attrazione elettrostatica esercitata dalla rete, vengono intrappolate dalla barriera frangivento che è sostenuta da una struttura di piloni alti 21 metri e lunghi quasi 2 km. La rete è stata concepita per contenere la dispersione delle polveri sottili nelle aree limitrofe ai campi minerari”.

Come avviene la produzione delle reti?

“La materia prima arriva sotto forma di granuli che mediante un procedimento a caldo (estrusione), trasformiamo in filamenti (la forma è di un mini spaghetto). Il filamento viene poi tessuto. Il principale fornitore dei granuli di polietilene è Lyondellbasell mentre i macchinari che ci consentono questo tipo di filatura sono italiane della Macchi, e quelle per la tessitura provengono dalla Svizzera e dalla Germania. Utilizziamo macchine diverse per consentire la produzione di prodotti con pesi da 20 a 300 gr. di peso al metro quadro e con magliature da 2 cm a 200 micron”.

Come controllate la qualità delle fasi di lavorazione?

“Il nostro laboratorio di ricerca dispone di strumenti di misura per garantire un prodotto certificato. Di alta qualità, lunga durata e soprattutto sempre più all’avanguardia. Oltre alla camera climatica la strumentazione include una serie di macchinari e test specifici come l’Accelererated weathering teste con cui simuliamo il comportamento dei tessuti nel tempo e ci fornisce informazioni precise sull’effetto delle radiazioni UV sul prodotto finito. A questo si aggiungono test sulle proprietà meccaniche dei tessuti e dei filati, la quantità dell’aria che attraversa il campione del prodotto, il potere ombreggiante e la fluidità del granulo con cui è realizzato il tessuto. Due giovani e capaci ingegneri si occupano di mantenere l’eccellenza qualitativa che contraddistingue i nostri prodotti”.

E dal punto di vista ambientale?

“Cinque anni fa oltre alle normali e consuete certificazioni abbiamo ottenuto anche quella ambientale Emas che certifica la riduzione del fabbisogno energetico e degli scarti di produzione. La riduzione di impatto ambientale si ottiene nelle fasi di fabbricazione dei materiali che, avendo una durata più lunga, negli anni consente di ridurre la quantità di materiali da eliminare a fine vita”.

Il gruppo Arrigoni lo scorso anno ha realizzato un fatturato di 18 milioni di euro, il 50% del quale realizzato all’export. In Italia oltre a operazioni dirette su grandi clienti, l’azienda dispone di una rete di distributori e di qualificati rivenditori locali. Tre i settori di distribuzione: Agrotextiles con reti antigrandine, frangivento, anti insetti, anti-brina, ombreggianti, di supporto, per la pacciamatura e antiuccelli; Techtextiles con reti tecniche e reti per l’edilizia. Il terzo settore – Smart textiles – comprende reti per parcheggi, eventi, frangivista, gazebi e vele oltre alle applicazioni nel mondo dello sport. I due stabilimenti: Uggiate Trevano (CO) e Putignano (BA) impiegano settanta collaboratori permanenti e qualificati. Con i collaboratori esterni, il gruppo da’ lavoro a cento persone.

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