Scenari economici per il 2013

Lo scenario macroeconomico elaborato dal servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo per il 2013 prevede una crescita globale moderata, all’insegna di una maggiore propensione al rischio. Superato lo scoglio del fiscal cliff gli Stati Uniti, nel breve termine costituiranno il maggiore fattore di incertezza, con tassi di crescita moderati, orientamento restrittivo delle politiche fiscali e fortemente espansivo di quelle monetarie con una  pressione inflazionistica generalmente trascurabile.

Nell’Eurozona, occorrerà tempo perché i progressi nella gestione della crisi del debito avvenuti nel 2012 si raducano in effettiva ripresa economica. L’orientamento delle politiche fiscali rimane restrittivo e la trasmissione della politica monetaria è stata solo in parte ripristinata. Nel 2013 il Pil registrerà ancora una modesta contrazione (-0,3%), tornando a crescere soltanto nel secondo semestre. Non si attendono nuove misure straordinarie da parte della Bce, dopo quelle adottate nel 2012. Come gli investitori stanno già percependo, la svolta nella strategia di gestione della crisi maturata nel secondo semestre 2012 riduce la probabilità di evoluzioni estreme, anche se i tempi del risanamento in alcuni Paesi (Grecia, Spagna) saranno molto lunghi.

Le principali novità potrebbero arrivare dall’Estremo Oriente, dove il cambio di governo in Giappone condurrà all’adozione di politiche economiche aggressive. Nel breve termine, ciò potrebbe accentuare il deprezzamento dello yen e favorire il ribilanciamento esterno; tuttavia, rimarrà irrisolto il problema della sostenibilità del debito pubblico. Nel complesso nel 2013 si attende una maggiore propensione al rischio che ha già caratterizzato la parte finale del 2012. L’abbondante liquidità non comporta rischi di inflazione nell’attuale contesto di eccesso di offerta, ma potrebbe favorire il formarsi di bolle speculative sui mercati finanziari e sulle commodities.

In Italia, l’economia sarà ancora frenata dalla parte finale del programma di restrizione fiscale avviato nel 2011. La domanda interna continuerà a contrarsi, soltanto in parte compensata dal contributo positivo del commercio estero. Stimiamo nell’1,0% la contrazione media annua del Pil, un andamento destinato a incidere ancora negativamente sull’occupazione. La recessione non consentirà di raggiungere gli obiettivi fiscali nominali, ma il saldo strutturale continuerà a migliorare. Un esito elettorale all’insegna della governabilità e della responsabilità è essenziale per consentire il consolidamento dei progressi sul fronte finanziario, che nel tempo porteranno a ripercussioni favorevoli sulla domanda interna e sul clima di fiducia. Nel complesso, l’evoluzione economica dei prossimi trimestri presenti forti elementi in comune con gli ultimi mesi del 2012, inclusa una cauta ripresa della propensione al rischio fra gli investitori.

Contesto geopolitico. Un elemento di continuità (la rielezione di Obama a presidente degli Stati Uniti) dovrebbe favorire negli Stati Uniti uno scenario di graduale restrizione fiscale, senza strappi e clamorosi cambi di strategia; inoltre, ci pare anche meno probabile che gli Stati Uniti tornino a essere un fattore di instabilità per lo scenario globale, come in passato, invece, è accaduto piuttosto frequentemente con le amministrazioni repubblicane. Sullo sfondo, persistono fattori potenziali di crisi (Iran, Corea del Nord, rivoluzioni sociali nel Medio Oriente arabo) dal potenziale destabilizzante, ma ad esse gli investitori sono ormai assuefatti e sarà necessaria una escalation esplosiva per far aumentare l’avversione al rischio.

Fra gli elementi di discontinuità, uno deve considerarsi inequivocabilmente positivo: la svolta nella gestione della crisi finanziaria dell’Eurozona, che sta conducendo a una ripresa del clima di fiducia fra gli investitori. Il cambiamento è partito nel giugno 2012, con l’impegno politico a incrementare l’integrazione economica; tuttavia, è stato soltanto con l’annuncio del programma OMT da parte della Bce (agosto-settembre 2012), il lancio del Meccanismo Europeo di Stabilità (European Stabilisation mechanism, ESM, 8 ottobre), l’accordo sull’avvio dell’unione bancaria (11 dicembre) e l’avvio di un processo di ristrutturazione del debito greco verso organismi ufficiali (nella prima metà di dicembre), che la strategia di gestione della crisi ha compiuto un vero salto di qualità.

Ovviamente, lo scenario dell’Eurozona rimane complesso: oltre ai rischi connessi alle elezioni politiche in Italia (febbraio 2013), dobbiamo ricordare la difficoltà per la Spagna di realizzare il risanamento dei conti pubblici in un contesto di riduzione della leva finanziaria e di recessione nel settore privato, e i crescenti ostacoli al rispetto degli obiettivi fiscali che incontra il Portogallo. Tuttavia, il nuovo orientamento della Germania e la potenziale mobilitazione del bilancio della Banca centrale hanno fortemente ridimensionato la probabilità di scenari estremi, evidenziando già i primi importanti benefici, nella forma di un parziale ripristino dei flussi di capitale fra i paesi dell’Eurozona e di un netto ridimensionamento dei premi per il rischio. Questi due processi, se confermati, possono ridurre il divario fra le condizioni del credito di centro e periferia, migliorando la trasmissione degli impulsi di politica monetaria e favorendo nel tempo la ripresa economica.

La seconda novità dello scenario è il ritorno al potere dei liberal-democratici in Giappone, ampiamente preannunciata dai sondaggi. Il cambio di governo spiana la via a un uso aggressivo in funzione antideflazionistica della politica monetaria, con probabili ripercussioni sul cambio dello yen, e della politica fiscale. Il sostegno alla bilancia dei pagamenti potrebbe essere completato dal rilancio dell’industria nucleare, congelata dopo il disastro di Fukushima. Meno chiare sono le implicazioni per le crescenti tensioni internazionali con la Cina, potenzialmente devastanti per l’economia dell’Estremo Oriente: da una parte, il partito di Abe ha caricato di toni nazionalistici la propria piattaforma elettorale, facendo temere una gestione ancora più aggressiva del contrasto; dall’altra, però, Abe ha recentemente rilasciato alcune dichiarazioni concilianti e, nel passato, si è dimostrato alquanto pragmatico nei suoi rapporti con il potente vicino.

L’orientamento delle politiche economiche non è destinato a mutare significativamente rispetto al 2012. A giudicare dalle proiezioni del Fmi per il saldo primario corretto per il ciclo, le politiche fiscali avranno un orientamento ancora restrittivo. Nei paesi avanzati, il saldo primario corretto per il ciclo dovrebbe migliorare di 1,0% del Pil, con una variazione più marcata negli Stati Uniti che nell’Eurozona e in Giappone. In quest’ultimo paese, peraltro, il cambio di governo potrebbe portare a un atteggiamento più accomodante di quanto previsto dal Fmi. Sebbene il Fmi stimi per l’Eurozona una variazione inferiore a quella del 2011 e del 2012, la probabile presenza di effetti ritardati delle misure passate non consente di essere ottimisti riguardo all’impatto sul tasso di crescita del Pil. Nei paesi emergenti, invece, l’orientamento rimarrà sostanzialmente neutrale.

L’orientamento delle politiche monetarie rimane accomodante nei paesi avanzati. Il tasso di interesse reale a breve termine per i paesi Ocse è atteso rimanere nel decile più basso della distribuzione storica: non soltanto i tassi ufficiali rimarranno vicini allo zero, ma le misure non convenzionali di politica monetaria (stimoli quantitativi o gestione della liquidità a rubinetto) tendono a schiacciare ulteriormente i tassi di mercato monetario. Inoltre, diverse banche centrali hanno introdotto programmi di acquisto di attività finanziarie a medio-lungo termine, con il risultato di deprimere i livelli dei rendimenti. I benchmark decennali di Stati Uniti, Giappone e Germania rimangono su livelli eccezionalmente bassi in termini reali e nominali.

Per quanto riguarda la trasmissione della politica monetaria all’economia reale, il quadro appare diversificato. Ovunque, la forte crescita della base monetaria risulta in gran parte compensata dal calo dei moltiplicatori monetari. Tuttavia, negli Stati Uniti l’espansione del credito bancario, per quanto a novembre sia rallentata al 4,0%, è tornata su livelli vicini alla media storica (5,6% dal 1960 al 2011) e rimane in linea con la crescita del PIL nominale (4,0-4,2% nel biennio 2012-13). Rimangono serie criticità soprattutto nell’Eurozona: qui la formazione dell’eccesso di liquidità è servita a rimpiazzare la base monetaria risucchiata dall’Europa meridionale a quella settentrionale durante la crisi. Nella periferia europea, la crisi della raccolta sui mercati dei capitali e poi le pressioni recessive hanno portato a una maggior restrizione delle condizioni creditizie. A rimarcare tale dicotomia, le passività delle imprese non finanziarie crescono sostanzialmente in linea con il Pil nominale in Germania e Francia, ma si contraggono più velocemente del PIL in Italia e Spagna: una tendenza che dovrebbe essere confermata nel 2013. In Italia, però, il raffreddamento della crisi finanziaria dovrebbe portare nel tempo a un miglioramento delle condizioni del credito.

 

Tirando le somme di quanto detto, si prevede una crescita del Pil mondiale pressoché uguale al 2012, 3,2% contro 3,0%. Spinte recessive prolungate dovrebbero interessare soltanto l’Eurozona, mentre in Giappone saranno di breve durata. Il processo di convergenza dei paesi emergenti, che non sono frenati dalle esigenze di risanamento dei conti pubblici delle economie avanzate, continuerà a essere galoppante. In uno scenario di oscillazioni su una media pressoché stazionaria per le materie prime, l’inflazione dovrebbe calare ulteriormente nei paesi Ocse. L’espansione monetaria non ha alcuna possibilità di generare pressioni inflazionistiche persistenti in un contesto di forte eccesso di capacità produttiva. Tuttavia, non va escluso che, a fronte di ripresa della propensione al rischio e di una attiva ricerca di rendimento, la liquidità possa alimentare bolle speculative sui mercati finanziari. In tal caso, potrebbe indirettamente causare inflazione se i flussi di investimento si riversassero sulle materie prime.

 

Il quadro per area in sintesi

Stati Uniti

Le prospettive di crescita negli Stati Uniti sono rimaste invischiate nella rete dell’incertezza fiscale. Prevediamo

che il 2012 si chiuda con un accordo sul fiscal cliff e sul limite del debito, caratterizzato da una correzione

complessiva di circa 2 tln di dollari su 10 anni, con rialzi di entrate per circa 1,2 tln di dollari e tagli di spesa per 1

tln. Nel prossimo biennio, il freno della politica fiscale verrà in parte controbilanciato dalla politica monetaria

super-espansiva della Fed, dal graduale riequilibrio dei bilanci delle famiglie e dalla ripresa del settore

dell’edilizia residenziale. Lo scenario è quindi di crescita intorno al 2% nel 2013-14 (1,7% nel 2013, 2,2% nel

2014). I rischi per la crescita nel 2013 sono verso il basso. La chiusura del 2012 è molto debole, anche per

via dell’incertezza fiscale. Inoltre, dopo il probabile accordo sul fiscal cliff, il sospiro di sollievo per avere evitato il

baratro sarà seguito dagli effetti reali di una politica fiscale restrittiva su un arco di tempo prolungato, con

conseguenti aggiustamenti dei programmi di spesa di famiglie e imprese colpite da rialzi di imposizione tributaria

e riduzioni di trasferimenti. L’aspettativa che l’accordo sul fiscal cliff si chiuda con un piano di restrizione fiscale i

cui dettagli dovranno essere definiti nel 2013 manterrà consumatori e imprese su posizioni caute fino a quando

non saranno diffusi i contorni delle riforme su spesa programmatica e imposizione tributaria. La crescita debole e

il lentissimo aggiustamento del mercato del lavoro manterranno la politica monetaria sull’attuale sentiero

super-espansivo. I programmi di acquisto titoli senza tetti e senza scadenza contribuiranno a mantenere sui

minimi storici i rendimenti e i tassi sui mutui a lungo termine, favorendo i due settori frenati dagli effetti

dell’eccesso di debito: settore pubblico e settore immobiliare residenziale. Ci aspettiamo il proseguimento dei

programmi aperti almeno fino alla fine del 2013, e il mantenimento del tasso sui fed funds a zero almeno fino a

metà 2015. Nel medio termine, tuttavia, ci sono forze strutturali positive che permetteranno all’economia

americana di accelerare su un orizzonte temporale prolungato, indipendentemente dalle fluttuazioni

cicliche: ripresa dell’edilizia residenziale, rilocalizzazione delle imprese manifatturiere, rimpatrio di utili prodotti

all’estero da imprese multi-nazionali, aumento della produzione di petrolio e conseguente riduzione delle

importazioni energetiche, apertura della possibilità di esportazione di gas naturale. Pertanto ci aspettiamo un

contributo positivo (non triviale) alla crescita dagli investimenti fissi, residenziali e non, e dal canale estero.

Asia

L’economia del Giappone è in recessione. La contrazione del PIL dovrebbe essere di breve durata: nel 2013 la

crescita dovrebbe essere in ripresa, con una variazione annua di 0,9%. La ripresa del 2013 dovrebbe essere

trainata dalle esportazioni e da un modesto miglioramento della domanda domestica privata, ma dovrebbe anche

essere sostenuta da un aumento degli investimenti pubblici e da maggiore stimolo monetario, soprattutto se le

elezioni si concluderanno con l’atteso cambiamento di maggioranza alla Camera bassa (da DPJ a LDP). I conti

pubblici sono su un sentiero sempre più insostenibile: la correzione degli squilibri fiscali richiede interventi di

dimensioni enormi anche solo per stabilizzare il debito sui livelli attuali (230% del PIL). Lo scenario di politica

fiscale è reso più incerto dall’atteso cambiamento di governo dopo le elezioni del 16 dicembre. Il Governo

uscente aveva approvato un piano di rientro fiscale con misure strutturali per circa il 5% del PIL, grazie

all’aumento dell’imposta sui consumi dall’attuale 5% al 10% entro ottobre 2015 e ad altre misure ancora da

attuare. Il budget 2013 e l’indirizzo della politica fiscale del nuovo Governo saranno cruciali per vedere se verrà

mantenuta la moderata restrizione fiscale di medio termine annunciata nel 2012. Il sentiero del PIL nel prossimo

triennio sarà influenzato dal rialzo dell’imposta sui consumi, che dovrebbe raddoppiare dal 5% attuale al 10%

entro ottobre 2015. L’inflazione è di nuovo in territorio negativo. La previsione è di deflazione moderata nella

prima metà del 2013, con un ritorno verso lo zero a fine anno. Nel 2014-15, il sentiero dei prezzi sarà

estremamente volatile per via del rialzo dell’imposta sui consumi. La Banca centrale ha modificato in direzione più

espansiva la strategia di politica monetaria, aumentando il programma di acquisto titoli, introducendo prestiti a

lungo termine, e segnalando che la politica monetaria resterà espansiva fino a quando non sarà finita la

deflazione, con una svolta verso programmi illimitati, nel tempo e nella dimensione, sullo stile della Fed.

Prevediamo ulteriori incrementi del programma di acquisto titoli in tutte le classi di attività, dai JGB ai titoli più

rischiosi.

In Cina, i dati del trimestre settembre-novembre di vendite al dettaglio, produzione industriale, investimenti e

commercio estero indicano che l’economia ha superato il punto di minimo anche se la ripresa appare debole. Ci

aspettiamo che la National Development and Reform Commission (NDRC) continui ad accelerare l’approvazione

di nuovi progetti infrastrutturali e il completamento dei progetti esistenti, mantenendo tuttavia in piedi le misure

amministrative anti-speculazione sul mercato immobiliare. Gli investimenti saranno dunque solo in moderato

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recupero nel 2013, sostenuti anche da un contenuto allentamento della politica monetaria, i cui effetti saranno

maggiormente visibili nel 2014. Rivediamo marginalmente al ribasso la crescita del 2013 da un precedente 8,1%

a 7,9% a causa di una minore crescita dei consumi privati e delle esportazioni rispetto allo scenario precedente. I

rischi sullo scenario rimangono al ribasso per gli impatti negativi che potrebbe avere un ulteriore rallentamento del

mercato immobiliare sia sulle finanze dei Governi locali sia sulla performance del settore bancario; esternamente,

per un ulteriore rallentamento della crescita negli Stati Uniti e nell’area euro, associato al rallentamento delle altre

economie asiatiche, con un impatto negativo sulle esportazioni.

In India, le indagini di clima del 3° trimestre 2012 mostrano ancora un quadro di rallentamento dell’attività

economica e di calo della fiducia delle imprese, sebbene le aspettative per il 4° trimestre dell’anno siano in

miglioramento. L’analisi dei piani di investimento del 3° trimestre del 2012 prospetta una dinamica degli

investimenti più moderata nei prossimi trimestri. Considerato l’andamento degli indicatori mensili, le deboli

prospettive degli investimenti e il rallentamento dei consumi privati, rivediamo al ribasso la crescita da 5,7% a

5,3% nel 2012 e da 6,5% a 5,7% nel 2013.

Nonostante il rallentamento dell’attività economica, l’inflazione rimane ancora elevata. L’inflazione dei prezzi al

consumo è scesa marginalmente dal picco del 10% in agosto al 9,8% in ottobre ed è risalita a 9,9% in novembre.

I rischi sull’inflazione rimangono al rialzo e limitano lo spazio di allentamento dei tassi da parte della Banca

centrale. Riteniamo che la RBI, fino a che l’inflazione non darà maggiori segnali di svolta, continuerà ad agire

fornendo liquidità più che utilizzando i tassi. Ci aspettiamo dunque che la RBI attenda il 1° trimestre dell’anno per

ritoccare i tassi al ribasso.

Gli sforzi del Governo per implementare le riforme strutturali necessarie al paese, apprezzati dagli investitori

internazionali, continueranno ad essere ostacolati dalla mancanza di una forte maggioranza parlamentare della

coalizione di Governo in un anno che precede le elezioni politiche che si terranno nel maggio del 2014, con rischi

al rialzo sulla traiettoria del deficit pubblico.

Eurozona e Italia

Il 2013 sarà ancora un anno difficile per la zona euro, nonostante la svolta nella strategia di gestione della crisi

avutasi con l’annuncio del Piano di azione congiunto BCE/ESM, l’introduzione di regole uniformi per il

consolidamento delle finanze pubbliche e l’individuazione di un’agenda per la creazione di un meccanismo di

supervisione comune per le istituzioni creditizie. Il processo di consolidamento fiscale nella periferia è destinato a

proseguire e il grado di restrizione fiscale è atteso ridursi solo marginalmente rispetto al 2012, dall’1,4% all’1% del

PIL. Soltanto nel 2014 il freno al ciclo derivante dalla politica fiscale dovrebbe allentarsi significativamente. Al

deleveraging del settore pubblico in Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda si aggiunge quello del settore privato.

Inoltre, non ci aspettiamo, quindi, grosse novità sul fronte delle misure non convenzionali di politica monetaria in

corso d’anno, al di là di quanto già predisposto. Un taglio del refi (ma non del tasso sui depositi) nei primi mesi

dell’anno è possibile, dati i recenti segnali di rallentamento ciclico, ma servirebbe ad abbattere il costo della

liquidità presa a prestito nelle aste triennali, più che a stimolare l’economia reale.

In questo contesto, è difficile che l’economia dell’area euro possa tornare a tassi di crescita positivi già il prossimo

anno anche perché, sulla base dei dati più recenti, una recessione tecnica in Germania a cavallo del nuovo anno

non può più escludersi. Abbiamo tagliato significativamente le nostre stime per l’economia tedesca (a 0,5% da un

precedente 0,9%). Di riflesso, ci aspettiamo ora una contrazione per la zona euro di -0,3%, solo in lieve

miglioramento rispetto al -0,4% del 2012. Nel 2013, le esportazioni nette rimarranno il solo motore di crescita,

mentre la domanda interna continuerà a scendere anche se a un ritmo

(-0,8%), meno severo che nel 2012 (-1,4%). Rispetto all’anno in corso, si chiuderanno, in parte, le divergenze tra

paesi del centro, che contribuiranno per +0,1% alla crescita della zona euro, e paesi della periferia che in media

dovrebbero sottrarre uno 0,4%. La dinamica occupazionale continuerà a risentire del rallentamento ciclico in

particolare nei Paesi della periferia, ma prevediamo un peggioramento anche nei paesi core. Ci aspettiamo che la

disoccupazione nell’area euro possa salire fino al 12,1% per fine 2013, dato l’usuale ritardo rispetto al ciclo.

I rischi sullo scenario rimangono ancora verso il basso. I progressi attuati quest’anno andranno consolidati per

evitare ricadute della crisi sul debito e a tal fine è fondamentale che il piano BCE venga implementato in modo

ordinato e in tempi rapidi in caso di necessità; che i lavori per l’istituzione di un’autorità di vigilanza europea

avanzino senza eccessivi ritardi e che gli appuntamenti elettorali in Italia e Germania non portino a un

ripensamento delle scelte di politica economica nazionale ed europea. Ci aspettiamo, inoltre, che la domanda

globale acceleri già da fine inverno, dando nuovo impulso alle economie europee. Se il 2013 trascorrerà senza

grossi scossoni, l’economia area euro potrà tornare a crescere (all’1%) nel 2014.

 

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