Nuovo regolamento UE sulla protezione dei dati aziendali

Una ricerca Compuware condotta in Europa rivela lo stato di inadeguatezza delle aziende al nuovo regolamento UE sulla protezione dei dati.

Sono ancora molte le aziende in Europa e negli Stati Uniti non siano adeguatamente preparate sul Regolamento Generale UE sulla protezione dei dati (GDPR) recentemente approvato, e rischino di incorrere nelle sanzioni dovute all’errato utilizzo e controllo dei dati personali. Compuware Corporation ha realizzato una ricerca che rivela come più della metà (55%) delle aziende in Europa, addirittura l’80% degli italiani, dichiara di essere preparata sul GDPR e su cosa esso comporti nella gestione delle informazioni dei clienti, ma le risposte a domande specifiche evidenziano una situazione decisamente più complessa. Nonostante il rischio di non rispettare il regolamento, il 64% delle imprese in Italia (68% in Europa) non ha ancora adottato un piano globale che gli contenta di reagire all’impatto del GDPR. Secondo gli intervistati, i fattori principali che rendono difficile la compliance al GDPR sono la crescente complessità dell’IT, indicata dal 63% degli intervistati, l’agilità e la proliferazione delle nuove applicazioni abilitata dai DevOps, la raccolta continua di un numero sempre maggiore di applicazioni e l’outsourcing IT. Un ulteriore 53% ha dichiarato che la protezione e la gestione del consenso dei clienti rispetto all’utilizzo dei propri dati rappresenta un altro ostacolo consistente.
“Diritto all’oblio”: difficile rispettarlo

La ricerca mostra come le aziende fatichino nel controllare i dati in loro possesso e come tutto questo renda ancor più difficile rispettare il ‘Diritto all’oblio’ sancito dal GDPR. In particolare:
• Il 68% degli intervistati in Europa, il 56% in Italia, ritiene che la complessità dei servizi IT moderni non permetta di definire sempre l’esatta ubicazione dei dati dei clienti
• Oltre la metà (53%) degli intervistati dichiara che è particolarmente difficile sapere dove risiedono tutti i dati di test. In Italia, dichiara di non riuscire a farlo solo un intervistato su quattro, mostrando ancora una volta una fiducia maggiore rispetto agli altri Paesi sulla possibilità di rispettare il GDPR e, in particolare, il diritto all’oblio. Anche se oltre la metà (51%) dei CIO in Europa (76% in Italia) si dice in grado di individuare tutti i dati personali di un individuo in modo rapido, rimane comunque quasi un terzo dei CIO (30% in Europa, 20% in Italia) che ammette di non poterlo fare.
• Gli intervistati ritengono che l’utilizzo dell’outsourcing (81% Europa, 88% Italia) e la tecnologia mobile (63% Europa, 60% Italia) rendano oggi sempre più difficile tenere traccia di dove risiedono i dati dei clienti.
• il 45% degli intervistati in Europa (36% in Italia) lamenta che l’azienda prederebbe molto tempo e risorse se dovesse rispondere alla richiesta di mostrare a un soggetto tutti i dati su di lui che sono in possesso dell’organizzazione su tutti i suoi sistemi.
• Poco più della metà delle aziende in Europa (52%) è in grado di rimuovere tutti i dati in modo efficiente in caso venga esercitato il diritto individuale all’oblio. Le aziende italiane sembrano essere sempre più virtuose, con l’80% delle imprese che dichiarano di essere in grado di farlo. Globalmente, gli italiani intervistati pensano di essere in grado di rispettare il diritto all’oblio ma quando gli viene chiesto se hanno considerato anche i dati dei test si scopre che non li avevano inclusi in questo contesto o che credono comunque di essere conformi anche nell’area del testing, cosa che in realtà non è.

TESTARE I CONFINI DEL CONSENSO 

La ricerca ha rilevato che il 96% delle aziende in Italia (86% in Europa) utilizza i dati reali dei clienti per i test delle applicazioni durante lo sviluppo del software, ma solo un intervistato su cinque (32% in Italia) chiede il consenso esplicito del cliente per questa tipologia di utilizzo; la maggior parte delle aziende quindi non rispetta questa parte della normativa contenuta nel GDPR. Più allarmante, il 58% (43% in Europa) di coloro che effettuano i test delle applicazioni con dati reali mettono ulteriormente a rischio la privacy dei clienti perché non sono in grado di garantire il mascheramento dei dati prima dell’utilizzo.

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