Il Decreto Rilancio? Non basterà per le Pmi

Il Decreto Rilancio? Non basterà a risollevare le imprese italiane che devono riacquistare credibilità agli occhi del mercato internazionale

Di Federico Pozzi Chiesa, AD Italmondo e Founder Supernova Hub

L’Italia, lo sappiamo bene, è un Paese fondato sulle piccole e medie imprese. Imprese che in moltissimi casi fanno parte di filiere, spesso internazionali.

Queste PMI italiane sono alle prese con una carenza di liquidità che rischia di soffocarle, strette in una morsa trilaterale.

Da un lato il livello di insoluti in forte crescita, dall’altro la compressione di volumi di fatturato dovuta al lockdown e infine l’incertezza di quelle imprese che lavorano con l’estero causata dall’alert sul Paese da parte di alcune assicurazioni sul credito.

Una situazione sicuramente complessa che come operatori della logistica italiana e internazionale stiamo osservando con grande preoccupazione non solo per il nostro settore.

L’azienda Italia ha le casse vuote

Il primo elemento di pressione sui bilanci è l’aumento degli insoluti: secondo Cna oscillerà attorno al 60% la percentuale di fatture non pagate alle piccole imprese.

Per il mese di marzo gli insoluti variano dal 20% al 70%, mentre aprile ha visto un peggioramento con una forbice media che si innalza tra il 30% e il 50%, con picchi fino al 100%.

In questa situazione, il Decreto Rilancio con il suo carico di promesse rischia di essere ancora insufficiente per far fronte alle enormi esigenze di cassa delle imprese italiane.

Esigenze che l’Osservatorio sul Working Capital di Cribis e Workinvoice stima essere intorno ai 15 miliardi nell’arco di 3 mesi e 45 miliardi nell’arco di un anno.

Si tratta di un passo in avanti rispetto ai Decreti precedenti perché vengono introdotte norme innovative – come la garanzia sull’assicurazione del credito – ma che dovrà misurarsi con la prova dei regolamenti attuativi e con il reale trasferimento degli stanziamenti, passaggio che finora è stato molto farraginoso.

I mancati incassi si sommano al calo di fatturato, praticamente azzerato per due mesi per il 90% delle aziende domestiche che sono state costrette a chiudere i battenti nel tentativo di contenere la pandemia, soprattutto se pensiamo al retail e al mondo della ristorazione colpiti già pre-lockdown.

Si pensi solo che Cerved stima che la perdita di fatturato causata dal Covid nel 2020-21 sarà tra i 509 e i 671miliardi e ipotizza scompensi per i diversi settori variabili dal 55% di tour operator e agenzie viaggi, al 60,8% dei trasporti aerei di persone, fino all’oltre 65% del settore cinematografico.

Con un impatto che raddoppia nello scenario più pessimista (con una nuova ondata dell’epidemia in autunno e il protrarsi del lockdown per l’intero 2020).

Mentre ci addentriamo nella fase due, inoltre, è chiaro che le riaperture non consentiranno ai diversi settori coinvolti di tornare ai livelli di fatturato precedenti, perché saranno obbligati per almeno quattro mesi ancora a lavorare parzialmente e questo si tradurrà in un deterioramento della liquidità, con effetti sia nell’immediato che nel medio periodo – almeno fino a fine 2020 – la cui reale portata si potrà valutare solo in base a come evolverà la situazione.

Un esempio concreto riguarda il settore della ristorazione, uno tra i più colpiti: in un locale di circa 70 mq in cui prima era possibile accogliere 20/25 persone a regime, oggi il limite scende a circa 1/5 dei clienti, con evidenti conseguenze sui fatturati e sulla sostenibilità stessa del business.

La crisi delle imprese italiane in un orizzonte internazionale

Attraverso le nostre controllate sul territorio asiatico, abbiamo già potuto assistere alla parziale ripartenza del mercato cinese dove ci si aspettava già nel mese di marzo una piena ripresa, che poi si è tradotta invece, almeno inizialmente, in una ripresa tra il 70% e l’80% dei volumi, influenzata dal fatto che nel corso del lockdown alcune aziende che si approvvigionavano da fornitori locali hanno dovuto sostituirli con produttori di altri territori per garantire la prosecuzione del loro core business.

Perché non dovremmo aspettarci lo stesso effetto in Italia ed in Europa? Ad eccezione dei player in grado di offrire prodotti unici e insostituibili per qualità o per tecnologia, anche per quanto riguarda le aziende esportartici italiane ed europee, si potrebbe configurare una situazione equiparabile, che creerebbe ulteriori ostacoli ad una ripartenza effettiva.

Il rischio è che alla fine dell’emergenza le aziende clienti non tornino sui propri passi e anche se lo facessero non è improbabile che si inneschi una gara al ribasso sui prezzi oppure che il cliente scelga di mantenere entrambi i fornitori, riducendo quindi almeno in parte il valore degli ordini di quello storico.

Gli aiuti dello Stato: fondamentali ma forse insufficienti

Oggi abbiamo un quadro abbastanza chiaro di quelli che sono gli interventi pubblici con cui si cerca di far fronte a questo che potrebbe essere un vero disastro per l’economia reale italiana.

Con il Decreto Liquidità, lo Stato ha esteso la copertura del Fondo di garanzia a un pacchetto di 400 miliardi di euro di prestiti, lasciando però tutte le responsabilità operative sull’erogazione del credito in capo alle banche.

Le banche si sono trovate a dover gestire una mole di richieste enorme – con non poche polemiche sui tempi di richiesta ed erogazione.

Per sopperire a questa situazione è sceso il campo il settore del Fintech che ha notoriamente la capacità di andare incontro alle esigenze delle imprese in maniera più rapida e snella.

Nel nostro caso assistiamo all’effort messo in campo da una delle nostre partecipate BorsadelCredito.it che, tramite il recente accordo stretto con Azimut, ha ampliato ulteriormente la sua capacità di finanziare le PMI Italiane.

La garanzia basterà a far tornare le assicurazioni sul credito?

In quanto imprenditore, ritengo infine che un ulteriore elemento negativo (il cui effetto è solo appena visibile e forse è al momento il meno discusso) sia legato alle assicurazioni sul credito che nelle settimane scorse hanno declassato l’intero Paese, mettendo in stato di allerta tutti i fornitori esteri verso le aziende italiane, o meglio, verso l’intero Sistema Italia.

Anche fornitori con cui le aziende hanno costruito rapporti decennali hanno irrigidito le maglie del credito, imponendo un ulteriore limite sul volano di un eventuale rilancio. Alcuni player hanno addirittura azzerato tutti i fidi alle aziende italiane, in maniera aprioristica, senza richiedere né la bozza di bilancio 2019 né i dati andamentali.

Anche in questo caso qualche segnale di speranza è rintracciabile nell’ultimo Decreto che introduce, per la prima volta nel nostro Paese e sulla scorta di quanto avviene in Francia e Germania, uno strumento di garanzia pubblica sulle assicurazioni del credito.

Questo potrebbe far tornare sui propri passi le compagnie di assicurazione e incentivarle a concedere nuovamente le coperture sui crediti italiani, contribuendo a rimettere in moto la filiera dei pagamenti anche attraverso l’anticipazione dei crediti.

Per quanto riguarda l’outbreak, nelle ultime settimane in Italia si iniziano a scorgere timidi segnali di miglioramento. Questo è un trend che si intravede anche in altri Paesi europei, in opposizione però alla situazione che invece affligge gli USA e ai nuovi picchi di contagi che stanno investendo UK, Russia, Brasile e India.

Le ripercussioni sul PIL globale e sulla bilancia commerciale del rallentamento di questi Paesi, che in molti casi sono ancora in fase pre-picco, impongono che le misure di sostegno messe in atto non solo debbano concretizzarsi e consolidarsi per dare un aiuto immediato, ma debbano anche prevedere un termine di medio periodo, tenendo conto di questo rallentamento generale dei mercati.

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