Nov 25 2013

Italia in (s)vendita. Ma a chi?

Quello che più scoccia è che si passa per i soliti disfattisti e piagnucolosi. E’ vero, le iniziative di questo o quell’altro Governo sulle ‘privatizzazioni’ –  finte – , non ci piacciono per nulla. Dicono che servono per fare cassa. Ma in che senso? E’ come se una famiglia in crisi perchè il padre ha perso il lavoro, la madre ne ha uno part time e i figli crescono tra debiti contratti in epoche passate e di esaltante consumismo, oggi si vada a un Compro Oro per vendersi  i gioielli di casa. Catenine e altri oggetti per fare fronte alle rate del mutuo o peggio alle rate del prestito. E’ solo un sollievo passeggero. E il mese dopo che si fa? Si può solo sperare di non entrare nel vortice degli strozzini.

D’altra parte come biasimare quella famiglia? Come farle capire che per rientrare da debiti contratti negli anni passati bisogna mettersi al tavolino con molta umiltà e rimodellare la restituzione ma anche le proprie uscite economiche e spese generali. Lo Stato che fa? La stessa cosa. Offre un esempio sbagliato. (S)vende le sue partecipazioni, gioielli e gioiellini per cercare di risanare il debito pubblico. Demenziale.

Primo anche se le operazioni di vendita avessero successo e riscontrassero attenzione sarebbe una goccia in un mare fatto da oltre 2.076 miliardi di euro. di debito da risanare. E da qualche parte però bisogna iniziare? Certo ma dipende come e in che modo. Che senso ha (s)vendere per incassare una dozzina di miliardi e abbassare un po’ gli interessi iniziando un circuito virtuoso verso il risanamento?Oggi la differenza tra debito pubblico e Pil è del 127 % – anche se Eurostat mette l’asticella al più realistico 133%.  Ma a chi vendiamo e perchè?

Quello che si preconizza è la vendita di quote di otto società pubbliche senza alcuna strategia. Al primo che alza la mano. E si aggiudica il ‘pezzo’ senza  aver partecipato all’asta. E soprattutto senza aver partecipato alla certosina costruzione decennale del successo di ciò che sta acquistando. Dietro  le quote di Eni, StMicroelecronics, Snam, Cassa depositi e prestiti ( un vero enigma questa vendita…), Fincantieri, Sace, Grandi Stazioni, Enav, ci sono migliaia di lavoratori, migliaia di famiglie, impegni che i vari governi si sono presi nel corso degli ultimi trenta o quaranta anni. Ci sono investimenti, tecnologie, ingegneristica, intelligenza, creatività. Ci sono investitori che ci hanno creduto.

L’unica cosa che manca perchè è sempre mancata ed è il problema della nostra economia, è la strategia globale. Avere una strategia ora è indispensabile per non buttare all’aria il possibile incasso. Vendere al primo fondo cinese che passa non ha senso. Vendere a chi vuole e può insieme al Governo, ideare un futuro e una strategia per gli stessi gruppi citati, allora potrebbe essere utile. Il Governo dovrebbe proporre solo a investitori con cui allacciare rapporti di sviluppo. Con una strategia che possa moltiplicare il business, i posti di lavoro e i dividenti futuri. Non alienare i propri beni pensando solo a fare cassa oggi.

In questo modo si potrebbe fare cassa ma avere sempre il pallino in mano. E soprattutto provare a pensare comunque alle generazioni che verranno. Costrette a mio avviso tra qualche decennio a studiare a tavolino i grandi gruppi industriali che questo Paese ha avuto dal dopoguerra e che ha perso per mancanza di strategia e pianificazione economica determinata dalla pochezza della nostra politica.