Nov 03 2016

Riforma sì, riforma no. Nanopress.it prova a spiegare

A un mese dal referendum, Nanopress.it pubblica da oggi uno speciale editoriale per informare i propri lettori e chiarire tutti i punti della riforma costituzionale attraverso un video racconto a puntate del costituzionalista Edmondo Mostacci, focus d’approfondimento, la guida al voto, le ultime news sull’argomento. Uno speciale a tutto tondo con il coinvolgimento diretto dei lettori che, attraverso la pagina Facebook di Nanopress.it fanno domande e pongono quesiti sul tema a cui risponde lo stesso Mostacci, docente di Diritto Costituzionale e di Diritto Pubblico dell’economia presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi. È lo stesso docente a illustrare tutti gli aspetti della riforma proposta attraverso 15 pillole video, pubblicate dal lunedì al venerdì: una vera e propria lente di ingrandimento per capire la struttura del testo della riforma e gli argomenti più dibattuti e scottanti. Lo speciale è arricchito da articoli di approfondimento sulle parti fondamentali della riforma costituzionale, come il bicameralismo paritario, lo stravolgimento del Titolo V, il numero dei parlamentari, i costi della politica, la proposta di abolizione del CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. La sezione dedicata alle ultime notizie permette un aggiornamento continuo su novità, dibattiti in corso, dichiarazioni e confronti televisivi. E’ prevista anche una guida “Istruzioni per il voto” che offre una raccolta di informazioni utili per arrivare preparati all’appuntamento alle urne del prossimo 4 dicembre.

“Questo speciale editoriale”, ci ha detto Dragan Jankovic, ceo di Trilud, “conferma Nanopress.it in prima linea per un’informazione puntuale, super partes, chiara e allo stesso tempo autorevole sui temi d’attualità; da sempre Trilud Group affronta questioni complesse spiegandole in modo semplice, grazie a una dinamica redazione di giornalisti e collaboratori illustri, come il costituzionalista Edmondo Mostacci. Una capacità divulgativa già recentemente dimostrata in occasione delle ultime elezioni amministrative e del referendum sulle trivelle”.

 http://www.nanopress.it/politica/referendum-costituziona

Nov 02 2016

Codecons aiuta la rottamazione delle cartelle esattoriali

rottamazioneCon la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale vede la luce il D.L. 22.10.2016 n. 193, collegato alla legge di Bilancio 2017. Una vera e propria riforma del sistema fiscale che prevede la rottamazione di numerose cartelle esattoriali, ma che ha colto impreparati i contribuenti, molti dei quali non sanno di cosa si tratta o come poter usufruire dei benefici fiscali introdotti dalla nuova legge. Chi deciderà di risolvere le proprie morosità nei confronti dell’ente di riscossione, infatti, potrà beneficiare del taglio delle sanzioni subite, degli interessi di mora nonché delle somme aggiuntive dovute sui contributi previdenziali. L’aggio della riscossione, invece, va comunque pagato.

La norma riguarda i ruoli relativi agli anni 2000-2015 ed è accessibile su semplice richiesta del contribuente, ma i tempi per completare questa procedura sono obbligati. I contribuenti che intendono avvalersi della rottamazione dovranno presentare l’istanza all’agente della riscossione entro il 22 gennaio 2017, indicando la modalità di pagamento scelta (domiciliazione bancaria, bollettini precompilati o allo sportello). Il mancato, insufficiente o tardivo pagamento dell’unica rata o anche di una sola di esse determinerà la decadenza dalla definizione e tutto torna come prima, con la ripresa automatica delle misure cautelari e/o esecutive sulle somme residue ancora dovute e l’esclusione da una nuova rateazione.

Il Codacons, allo scopo di aiutare i cittadini a districarsi tra le tante novità fiscali, lancia un apposito sportello “Rottamazione cartelle”, attraverso il quale mette a disposizione degli utenti un team di consulenti fiscali che forniranno informazioni e assistenza sulle procedure da seguire per ottenere le agevolazioni previste dalla nuova legge. Attraverso il numero 8930398 è possibile parlare con i consulenti dell’associazione, nei giorni lunedì e venerdì dalle 11.30 alle 13.30. Il servizio sarà disponibile a partire da venerdì 4/11, ma – in via del tutto eccezionale – i consulenti risponderanno anche domani, mercoledì 2/11 sempre dalle 11.30 alle 13.30.

Ott 24 2016

Buone nuove dall’export

A settembre 2016, rispetto al mese precedente, l’export registra, per il quarto mese consecutivo, un contenuto incremento (+0,5%) mentre le importazioni  sono in marcata diminuzione (-4,1%). Il surplus commerciale (+2.880  milioni) è più del doppio di quello dello stesso mese del 2015 (+1.426
milioni). Ce lo dice l’Istat. L’incremento congiunturale delle vendite verso i paesi extra Ue si riferisce ai beni di consumo durevoli (+7,5%) e, in misura minore, all’energia (+3,0%) e ai beni di consumo non durevoli (+0,3%). I beni  strumentali e quelli intermedi (entrambi -0,2%) sono invece in lieve calo. Sull’import  la flessione in pratica s registra in tutti i  raggruppamenti principali di beni, a esclusione dell’energia (+0,8%).
export-crateI beni di consumo (-7,3%) e i beni strumentali (-5,0%) registrano un calo più marcato della media. Nei primi nove mesi dell’anno entrambi i flussi commerciali presentano un calo tendenziale, più sostenuto per le
importazioni (-7,8%) che per le esportazioni (-2,6%). Al netto della componente energetica, la flessione di entrambi i flussi è molto meno marcata (-1,0% per le importazioni, -0,9% per le esportazioni),  aggiunge l’Istat.  Lo scorso settembre, rispetto allo stesso mese del 2015, sono aumentate le vendite di beni verso Cina (+23,0%), Giappone (+18,0%), Stati Uniti (+11,0%), Svizzera (+5,2%), paesi Asean (+4,6%) e paesi Mercosur (+3,9%). Paesi Opec (-11,0%), Turchia (-8,3%) e Russia (-1,6%) segnano un decremento delle esportazioni. Le importazioni da Paesi Opec (+7,9%), Paesi Mercosur (+2,6%) e  Svizzera (+1,4%) sono in espansione mentre gli acquisti da Russia  (-22,0%), Stati Uniti (-14,7%) e India (-10,8%) registrano una marcata flessione.

Ott 22 2016

All’asta lo statuto del Milan. Se avessi i soldi…..

Va all’asta da Bolaffi il primo statuto del Milan (base 40.000 euro). Ma il valore stimato del documento storico sarebbe di di 80-120.000 euro. La vendita è prevista per il prossimo 14 dicembre a Milano, dell’unico
esemplare ad oggi noto dello statuto del “Milan Football & Cricket Club”, testimonianza della fondazione di uno dei club calcistici più titolati al mondo. Il mio Milan. Cento anni dopo la scomparsa del co-fondatore e primo allenatore Herbert Kilpin – il cui anniversario ricorre oggi 22 ottobre – la clip “Milan, la nascita di un mito” ripercorre l’epopea dei rossoneri attraverso il racconto del collega e storico dello sport Federico Buffa che accompagna lo spettatore in un viaggio appassionante dalle origini della squadra – la cui data di nascita è il 16 dicembre 1899 – fino al conferimento del cimelio alla casa d’aste da parte dagli eredi della famiglia di uno dei soci fondatori. Stampato in rari esemplari nel 1900 a Milano presso la Tipografia Industriale G. Pizzi, lo Statuto – composto da 16 pagine con copertina in cartoncino rosso e titolo a caratteri neri – sarà disperso a partire da una base d’asta di 40mila euro, e una stima di almeno il doppio (80-120mila euro) durante la vendita di “Libri rari e autografi” organizzata da Aste Bolaffi il 14 dicembre al Grand Hotel et de Milan. E dove altrimenti? Un documento che racchiude le origini mitiche della grande avventura del Milan e che permette di risalire al suo passato legato a uomini leggendari, a partire da Herbert Kilpin, che ne fu fondatore insieme a Samuel Richard Davies e Alfred Edwards. La notizia dell’avvenuta creazione del Milan fu data dalla Gazzetta dello Sport due giorni dopo, il 18 dicembre 1899. Sempre stando alla Gazzetta, gli inizi eroici ebbero come sede societaria la Fiaschetteria Toscana di via Berchet, mentre le partite venivano disputate al campo Trotter di piazza Doria. Nel 1949 il Milan veniva “rimproverato” dalla Domenica del Corriere di trascurare la storia della sua nascita; oggi, al tramonto della gloriosa stagione berlusconiana e agli albori della nuova era cinese, un documento permette di risalire al suo atto di origine, attestando il passato valoroso di un club ammirato in tutto il mondo in un momento di transizione per la squadra nel quale è importante riscoprire e rinsaldare identità e anima del Milan. Bolaffi propone un documento storico e, al contempo, vero e proprio oggetto di culto, di sicuro interesse per collezionisti di memorabilia sportivi di tutto il mondo, per appassionati tifosi e per investitori curiosi. Ma soprattutto con il cuore milanista…

Ott 21 2016

Uiltrasporti ha vinto il ricorso contro Alitalia

Il Tribunale di Civitavecchia ha depositato la sentenza di accoglimento totale del ricorso per comportamento antisindacale presentato dalla organizzazione contro Alitalia, che, sin dal mese di giugno, aveva abolito unilateralmente il diritto del personale navigante al godimento dei titoli di viaggio, disattendendo la normativa contrattualmente prevista.
La sentenza emessa dal Giudice condanna Alitalia al ripristino delle condizioni precedenti la sua unilaterale decisione. Non si trattava di privilegi ma di norme condivise dalle parti che sottoscrissero quegli accordi.
La sentenza risponde appieno a quanto da noi auspicato – prosegue la nota – e deve segnare una discontinuità nell’approccio di Alitalia alle relazioni industriali, che auspichiamo sin da ora maggiormente rispettose delle regole, maggiormente inclini ad obiettivi condivisi tra le parti e maggiormente partecipative.
Così come UILtrasporti crediamo che uno sviluppo equilibrato dell’azienda passi necessariamente da sane e corrette relazioni industriali.
Indebolire il sindacato confederale screditandolo, ledendo la sua credibilità ed immagine, non è utile al processo di sviluppo dell’azienda, specie in questo momento per essa tanto critico e soprattutto all’alba del rinnovo del CCNL. La UILtrasporti in questo crede, a beneficio dell’interesse delle lavoratrici e dei lavoratori che rappresenta e più in generale dei dipendenti di Alitalia, nonchè dei cittadini italiani che non sopporterebbero un ulteriore fallimento della compagnia di bandiera.
L’azione di UILtrasporti si dimostra concreta ed attenta ai fatti. Non così, invece, le affermazioni di alcune associazioni autonome che per fini lontani dall’interesse dei dipendenti Alitalia, sono impegnate in queste ore a diffondere notizie infondate e dannose per il futuro dei lavoratori. alitalia

Nov 25 2013

Italia in (s)vendita. Ma a chi?

Quello che più scoccia è che si passa per i soliti disfattisti e piagnucolosi. E’ vero, le iniziative di questo o quell’altro Governo sulle ‘privatizzazioni’ –  finte – , non ci piacciono per nulla. Dicono che servono per fare cassa. Ma in che senso? E’ come se una famiglia in crisi perchè il padre ha perso il lavoro, la madre ne ha uno part time e i figli crescono tra debiti contratti in epoche passate e di esaltante consumismo, oggi si vada a un Compro Oro per vendersi  i gioielli di casa. Catenine e altri oggetti per fare fronte alle rate del mutuo o peggio alle rate del prestito. E’ solo un sollievo passeggero. E il mese dopo che si fa? Si può solo sperare di non entrare nel vortice degli strozzini.

D’altra parte come biasimare quella famiglia? Come farle capire che per rientrare da debiti contratti negli anni passati bisogna mettersi al tavolino con molta umiltà e rimodellare la restituzione ma anche le proprie uscite economiche e spese generali. Lo Stato che fa? La stessa cosa. Offre un esempio sbagliato. (S)vende le sue partecipazioni, gioielli e gioiellini per cercare di risanare il debito pubblico. Demenziale.

Primo anche se le operazioni di vendita avessero successo e riscontrassero attenzione sarebbe una goccia in un mare fatto da oltre 2.076 miliardi di euro. di debito da risanare. E da qualche parte però bisogna iniziare? Certo ma dipende come e in che modo. Che senso ha (s)vendere per incassare una dozzina di miliardi e abbassare un po’ gli interessi iniziando un circuito virtuoso verso il risanamento?Oggi la differenza tra debito pubblico e Pil è del 127 % – anche se Eurostat mette l’asticella al più realistico 133%.  Ma a chi vendiamo e perchè?

Quello che si preconizza è la vendita di quote di otto società pubbliche senza alcuna strategia. Al primo che alza la mano. E si aggiudica il ‘pezzo’ senza  aver partecipato all’asta. E soprattutto senza aver partecipato alla certosina costruzione decennale del successo di ciò che sta acquistando. Dietro  le quote di Eni, StMicroelecronics, Snam, Cassa depositi e prestiti ( un vero enigma questa vendita…), Fincantieri, Sace, Grandi Stazioni, Enav, ci sono migliaia di lavoratori, migliaia di famiglie, impegni che i vari governi si sono presi nel corso degli ultimi trenta o quaranta anni. Ci sono investimenti, tecnologie, ingegneristica, intelligenza, creatività. Ci sono investitori che ci hanno creduto.

L’unica cosa che manca perchè è sempre mancata ed è il problema della nostra economia, è la strategia globale. Avere una strategia ora è indispensabile per non buttare all’aria il possibile incasso. Vendere al primo fondo cinese che passa non ha senso. Vendere a chi vuole e può insieme al Governo, ideare un futuro e una strategia per gli stessi gruppi citati, allora potrebbe essere utile. Il Governo dovrebbe proporre solo a investitori con cui allacciare rapporti di sviluppo. Con una strategia che possa moltiplicare il business, i posti di lavoro e i dividenti futuri. Non alienare i propri beni pensando solo a fare cassa oggi.

In questo modo si potrebbe fare cassa ma avere sempre il pallino in mano. E soprattutto provare a pensare comunque alle generazioni che verranno. Costrette a mio avviso tra qualche decennio a studiare a tavolino i grandi gruppi industriali che questo Paese ha avuto dal dopoguerra e che ha perso per mancanza di strategia e pianificazione economica determinata dalla pochezza della nostra politica.

Ott 04 2013

4 ottobre: San Francesco. Per Rcs un’occasione mancata

Io non sono Pietro Scott Jovane amministratore delegato Rcs Corriere della Sera e neppure il responsabile pubblicità dello stesso Gruppo editoriale ma trovo che il Corriere della Sera di oggi avrebbe fatto meglio a non pubblicare gli annunci pubblicitari pianificati che stridono rispetto alla cronaca delle pagine accanto. La modella in minigonna che pubblicizza una firma della moda o una borsetta o un qualsiasi marchio del lusso accanto alle foto dei dispersi e dei parenti della tragedia di Lampedusa, di chi scappa da un regime e di immigrati scampati alla morte, avrebbero meritato qualcosa di diverso. Noi lettori avremmo meritato qualcosa di diverso. Al loro posto per un solo giorno si sarebbe potuto pubblicare annunci di Onlus, per esempio? Cosa avrebbe perso Rcs? L’incasso di un giorno. E’ vero l’editoria va male, i conti non tornano, i soci reclamano utili per fine anno… ma ci avrebbero guadagnato in rispetto, in solidarietà, in immagine e qualche lettore in più. Magari. Lo stesso naturalmente vale anche per gli altri quotidiani e reti televisive o radiofoniche.

Lug 13 2013

La difficile arte del comunicare

L’altro giorno ricevo una telefonata. Al di là sento una giovane voce un po’ distratta con un rumore di fondo molto marcato. “Buon giorno sono tizio dell’agenzia caio volevo sapere se aveva ricevuto il comunicato che le abbiamo inviato…”. Dopo circa 40 anni di lavoro nella comunicazione – alcuni dei quali trascorsi a fianco di imprese e aziende,  capisco che la giovane voce si riferisce a un comunicato da me già approfondito con intervista all’amministratore delegato dell’azienda che sta pagando il suo stipendio. La notizia aveva già trovato un giusto spazio in questo sito. Mi fermo qualche istante, respiro profondamente e chiedo: “Mi scusi ma lei sa con chi sta parlando?” Risposta: ” Il giornale tal dei tali…”. Mi spiace, commento, sta parlando con una altra testata e non sa che il pezzo che tratta il suo cliente è già stato pubblicato…”. Chiedo ancora “Mi scusi di che azienda stiamo parlando, lo sa…?” Sento il panico che sale “… volevo sapere se aveva ricevuto il comunicato relativo a….”. Concludo: ” Egregio lei non conosce i media con cui tratta, non li legge e non sa nemmeno per quale azienda sta facendo questo recall…” Vi tralascio gli improperi (miei) e il balbettio (suo).

Sono anni che con il mio caro amico e collega Maurizio Montagna, che lavora per quotate testate dirette ai settori bancario e assicurativo, ci divertiamo (ma non troppo, poi) a catalogare improbabili comunicatori incontrati in trent’anni di mestiere ( il nostro) di giornalista. Trent’anni di comunicati stampa che ancora oggi, dopo le abbuffate degli anni ’80 e ’90, restano inesorabilmente vuoti. Creati dal nulla e per il nulla.

Le aziende continuano a investire una parte – oggi sempre meno, anzi quasi niente – dei loro soldi, così affannosamente rosicati sul totale degli investimenti, per comunicare al consumatore. Ma non solo. Le aziende devono comunicare alle altre aziende, agli Enti, allo Stato, ai possibili clienti e fornitori, a chi potrebbe promuovere la loro attività e i prodotti.

Ricevo quotidianamente comunicati scritti male, con errori di sintassi, per non parlare di quelli ortografici. Frasi ripetute più volte nel testo. Improbabili traduzioni dall’inglese. Luoghi comuni per non parlare della diffusa scontatezza. Concetti pieni di nulla. Abbondano aggettivi inutili come se le agenzie fossero pagate un tanto a riga. Per non parlare dell’uso improprio delle lettere maiuscole, dalle cariche delle persone alla semplice parola Azienda. Che dire?

Sono trascorsi quasi quarant’anni da quando ho preso questa strada e ne ho viste di tutti i colori. Ho visto spendere con tanta facilità denari di aziende con prodotti di largo consumo leader,  per girare spot che rincorrevano le stagioni. Andare in Sud Africa per trovare un orto di pisellini. (Ma non si poteva girare sei mesi prima in Italia?) Assoldare il noto regista americano caricandolo d’oro solo per il suo nome e il successo ottenuto al cinema e poterlo “spendere”  a livello mediatico, ma rimanendo insoddisfatti della sua produzione. Ma erano anni in cui di soldi se ne spendevano tanti. Forse troppi. Anni in cui chi non comunicava massicciamente era considerato un antico e forse anche uno sfigato. In questi ultimi decenni si sono spese molte parole  – e anche qualche tentativo  – sulla relazione costi/benefici in pubblicità. Sistemi certi sull’efficacia della comunicazione non ne sono mai stati trovati. E senza dover per forza citare Henry Ford e la sua battuta sugli investimenti in pubblicità,  bisogna fare un plauso all’intero comparto produttivo di questo Paese.

Un comparto che nonostante le insicurezze, le incertezze, i dubbi, il calo dei consumi, le materie prime sempre più care, la globalizzazione, la concorrenza scorretta, le frodi, il costo dell’energia, le non marche e i difficili passaggi di testimoni tra generazioni alla guida delle imprese, ha saputo resistere.

Ha ancora voglia – oltre che la necessità – di investire in comunicazione.

Voglia di dialogare con il consumatore per raccontare i propri valori attraverso i prodotti e i servizi offerti. E per questo si fa aiutare da professionisti del settore. Quelli capaci. Quelli che curano la qualità, che vanno dritti al punto, che hanno buone relazioni internazionali – ma anche localissime, che conoscono e sanno parlare i linguaggi reali, comuni e sofisticati – quando serve – senza mai dimenticare il rispetto per il destinatario finale. Che poi significare avere rispetto per se stessi.

Apr 25 2013

Ogni minuto chiude una impresa

Una cosa che mi ha colpito del Movimento 5 Stelle è l’attenzione verso le piccole medie imprese italiane. E’ vero ci sono numerosi interlocutori istituzionali a cui stanno a cuore queste centinaia di migliaia di aziende. Ma il Movimento bisogna dargli ragione, ha da sempre posto al centro del progetto economico e politico la sorte di questi piccoli artigiani e imprenditori della provincia italiana. Nel blog di Beppe Grillo si scrive che due sono i punti fondamentali per non andare incontro in autunno a una situazione di non ritorno: la solidarietà sociale, attraverso il reddito di cittadinanza, e le misure per le Pmi. “Il tessuto delle Pmi”, si legge nel blog,  “si sta deteriorando come una grande tela di ragno i cui filamenti di seta si rompono uno a uno fino alla sua completa distruzione. Senza questa tela l’Italia è spacciata. La finanza pubblica si regge grazie ad essa. In questi mesi vi sono stati numerosi contatti con piccoli e medi imprenditori e persone del M5S. Ci chiedono di aiutarli a sopravvivere. Molti sono alla canna del gas e ci guardano come se fossimo la loro ultima possibilità di salvezza. La politica finora seguita dal governo è stata l’aumento delle tasse su privati, imprese, consumi. Un’impostazione suicida che sta trasformando il Paese in un deserto e che ha come obiettivo di mantenere inalterati i privilegi, gli sprechi e i costi della politica e di porre al vertice della piramide le banche e la finanza al posto della produzione”. Cosa ‘è che non va in questo discorso? Nulla. Le imprese sono veramente alla canna del gas. Le banche non erogano più soldi. I sostegni sono spariti. I “castelletti” per poter produrre e pagare forniture e dipendenti esauriti. La distribuzione non ha più margini per trattare sconti e prezzi. I consumatori non consumano più nulla se non l’indispensabile. Che fare? Il Movimento propone l‘abolizione dell’Irap che darebbe una boccata di ossigeno non da poco. L’Irap andrebbe ridotta gradualmente a partire da quest’anno, per essere annullata entro il 2014. Con l’Irap le imprese più ricche e senza occupati pagano più del 30% circa di tasse, mentre le imprese più povere e indebitate, con numerosi lavoratori, pagano fino all’80% di tasse. Il Movimento propone di tagliare coprendo la spesa solo rapportando i nostri costi della politica a quelli delle Nazioni europee. Si può fare. E’ una idea condivisibile. Non vi pare?

Altra proposta il pagamento dell’Iva solo a incasso avvenuto. Perchè sborsare anticipatamente soldi che le imprese vedranno dopo mesi?  L’Iva andrebbe  pagata allo Stato quando incassata. Il pagamento dopo l’incasso non produrrebbe differenze di gettito sostanziali, ma uno spostamento del gettito. Il Movimento 5 Stelle propone lo sblocco immediato dei circa 120 miliardi di euro dovuti dallo Stato e dagli Enti alle imprese, anche attraverso l’anticipo e lo sconto in pro-soluto presso la Cassa Depositi e Prestiti o presso le banche (gli interessi saranno a carico dell’Ente debitore e non a carico dell’impresa). La misura include anche che i pagamenti, fra Stato, Enti e privati, non dovranno mai superare i 60 giorni, con l’automatico riconoscimento, in caso di ritardo, di interessi dell’8% più tasso Bce o di altri costi documentati causati dal ritardo. Chi non è d’accordo?

Mar 27 2013

Un fallimento in streaming

Ma che cavolo era la messa in onda dello streaming dell’incontro tra il Movimento 5 Stelle e  Bersani? Il controllo della telecamera, va bene. Potrebbe essere utile, ma il tutto era triste, ingessato, finto, falso.  Sembrava che lo streaming fosse più necessario a chi era fuori con l’obiettivo di controllare i movimenti dei delegati dell’M5S. A me sembra di sì. Bersani non ha più tempo, e questo era chiaro da prima. Non è l’uomo del cambiamento, della svolta, del giro di boa. Intanto il Paese reale, una frase che fa venire i brividi ogni volta che si cita, si legge e si scrive, ha bisogno di non perdere più tempo. Il presidente di Confindustria, Squinzi lo ha ribadito: sembra che non si rendono conto che fuori del Parlamento ci sono aziende non solo medie e piccole ma anche grandi ormai del tutto congelate. Da chi? Da una parte le banche – sotto smacco Europa – che hanno smesso di fare credito, dall’altra parte le società di reting che declassano il Paese e le aziende italiane, e fanno alzare il differenziale tra Bund e Bond italiani (spread). Ma non solo. Le materie prime costano sempre di più. I consumi scendono sempre di più. I magazzini di riempiono sempre di più e la produzione cala, cala, cala. Sempre di più. Quindi non si produce più, non si vende più  – e non si compra più, salgono le tasse e i costi (tra qualche mese l’Iva sui consumi sale dell’1%), non c’è una lira in cassa o poco più. Come si fa a tenere botta? Come fanno le aziende a mantenere l’occupazione e non mandare a casa i dipendenti? Come fanno a non chiudere i battenti, continuare ad acquistare le materie prime, pagare l’energia per produrre, lavorare il prodotto per poi distribuirlo? Che vogliamo fare? Quanto tempo vogliamo ancora dare a questi politici? Propongo che le aziende che stanno smantellando i capannoni lo mandino in streaming in tutto il mondo con il sottotitolo: ecco come muore una nazione